Sono molte le cose che il Covid ci ha insegnato: che questo mondo è fragile e che nulla è immutabile, ma soprattutto ci ha fatto capire che le relazioni tra le persone, tra le imprese sono un patrimonio che deve essere valorizzato, basandolo su una cosa non facilmente misurabile ma importantissima: la reputazione.
Come ce lo ha fatto capire? Restando nell’ambito della nostra filiera, quella del fuori casa in Italia, abbiamo visto come la frammentazione del settore (decine di sigle, movimenti creati dal nulla e spariti nel nulla, proteste di piazza sbagliate) non hanno prodotto niente. Quello che si pensava fosse un fenomeno al centro dell’attenzione delle persone – il ristorante, il cibo – nel volgere di un istante ha dimostrato tutta la sua debolezza. Il nostro settore, quello dei distributori nel food service, che conta migliaia di imprese, non è stato neppure considerato dalle istituzioni.
Questo fa emergere la mancanza di conoscenza vera e approfondita, di una cultura del cibo come bene primario che non si può spacciare in qualche talk-show televisivo senza competenza alcuna.
Il cibo è importante: lo è nel mondo, lo è economicamente e soprattutto socialmente e come tale va affrontato con una conoscenza adeguata, sapendo che questo può far deflagrare conflitti economici di portata mondiale. E avendo anche la consapevolezza che noi italiani siamo una piccolissima entità nel mondo ma che abbiamo una reputazione che, purtroppo, proprio per la nostra incapacità congenita a lavorare uniti, non valorizziamo mai abbastanza.
L’industria alimentare italiana è la più sicura tra quelle del mondo, l’agricoltura italiana ha fatto passi da gigante nel produrre materie prime straordinarie, la ristorazione italiana è un traino straordinario per il turismo (prima industria in Italia).
Dobbiamo avere una coscienza collettiva di questo patrimonio, dobbiamo uscire dalle secche dell’egocentrismo che troppo spesso diventa l’unica chiave di lettura della ristorazione, dobbiamo fare un grande sforzo comune per riuscire ad avere una posizione di prim’ordine a livello internazionale.
In Europa nei prossimi anni si vivranno cambiamenti epocali: il Green Deal, e al suo interno, il Farm to Fork, metteranno in luce la capacità di ogni singolo stato di diventare moderno, di abbattere le inefficienze che distruggono l’ambiente, di migliorare l’agricoltura e l’industria alimentare rivolgendole al benessere delle persone. Per fare questo ci saranno soldi che verranno distribuiti in basealla forza progettuale di ogni singolo stato. Si tratta di un cambiamento di pensiero, dove l’Italia parte avvantaggiata dalle sue materie prime, ma che non potrebbe essere favorevole se non rafforziamo il concetto di reputazione e se non uniamo tutte le componenti che compongono la nostra filiera.
Dobbiamo farlo, dobbiamo fare in fretta, e il Covid ci ha dato gli strumenti per farlo perché è dagli errori che si parte per trovare le soluzioni. Ora tocca a ciascuno di noi mettere la reputazione tra i primi obiettivi della vita, nostra e delle nostre aziende.
P.S. – Alla fine di questo articolo mi sono imbattuto in una notizia interessante dal titolo: Reputazione al millimetro. In quell’inchiesta giornalistica ho scoperto che un’azienda italiana, la Sec Newgate, ha creato una piattaforma di analisi semantica che misura la reputazione delle imprese. Siamo nella giusta direzione dunque…