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Usanze e sapori: la saggezza di leggende intramontabili

09/04/2025

Usanze e sapori: la saggezza di leggende intramontabili


Le tradizioni culinarie raccontano la nostra storia e ci descrivono. Cosa ci dicono del nostro presente?


In molte aree del nostro Paese la cucina è ben più che semplice nutrimento ma un autentico patrimonio culturale dove si fondono terra e tradizioni. Questo breve viaggio ci conduce alla scoperta di usanze secolari che narrano storie di fatica, fede e profondo rispetto per la natura, forse aiutandoci a comprendere meglio il nostro presente. Un esempio emblematico è la raccolta dell’uva, momento cruciale nelle comunità rurali a cui sono legate molte tradizioni. Tra esse spicca l'elezione del "Re della Vendemmia”, descritta dall’etnologo siciliano Giuseppe Pitrè nella sua monumentale "Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”. Al culmine della raccolta veniva designato un giovane particolarmente abile e festoso come sovrano simbolico della vendemmia; incoronato con tralci di vite e grappoli d'uva, a lui era affidato un compito speciale legato all'ultimo grappolo rimasto in vigna. Invece di essere raccolto come tutti gli altri veniva lasciato intatto sulla pianta, quasi come un'offerta simbolica alla natura o agli spiriti della terra, e il "Re della Vendemmia" doveva confidare a questo grappolo finale i desideri della comunità per l'anno a venire, portando le speranze degli uomini al cuore della terra.Nel contesto della vendemmia è evidente che l'ultimo grappolo, risparmiato dal coltello del vendemmiatore per mano del "Re", assumesse un significato profondo. Un gesto di rispetto e riconoscenza verso la vigna, ma soprattutto una promessa di continuità e prosperità per l'anno successivo.
 

Usanze e sapori: la saggezza di leggende intramontabili
Parallelamente un altro rito simile era legato alla mietitura, quello della "Madre del Grano". Come documentato tra gli altri dagli antropologi Alberto Cirese e Vito Teti, al termine della mietitura l'ultimo covone di grano diveniva una personificazione della fertilità e dell'abbondanza, la "Madre del Grano" appunto. Essa era considerata la custode della forza vitale del cereale, quindi la garanzia di buoni raccolti futuri. Lasciare intatto l'ultimo covone, o conservarlo con reverenza, significava dunque propiziarsi la benevolenza della terra e assicurare la continuità del ciclo agrario. In alcune regioni, come testimonia Giovanni Bronzini per la Puglia, questo covone veniva addirittura ornato e portato in processione. Riti che svelano come le antiche usanze rurali fossero profondamente permeate da una visione animistica del mondo, dove ogni elemento naturale aveva una sua importanza e meritava rispetto. Non sarebbero certo usanze simili a tutelarci dal vino al metanolo o dalle storture che riguardano le farine raffinate, ma almeno allora c’era totale interesse nel conoscere a fondo cosa si dovesse o non dovesse fare per tutelare la propria salute e il futuro dell’ambiente. Risulta praticamente impossibile trovare un esempio “moderno” che possa inserirsi nello stesso solco e questo è decisamente un primo spunto di riflessione interessante.

Anche le erbe spontanee, che arricchiscono le pietanze con i loro profumi intensi, possono svelare il fascino delle tradizioni popolari. Sono spesso circondate da un senso di mistero e sacralità, come per la salvia che non è solo un ingrediente prezioso nella cucina mediterranea ma anche simbolo di saggezza e longevità nella credenza popolare. L’infuso di salvia mostrava virtù benefiche, ad esempio per favorire la digestione dopo un pasto ricco, oppure per stimolare la memoria, come si tramanda in molti detti popolari. “Salvia, salva” dicevano i toscani e anche la sua presenza nei giardini suggerisce che fosse considerata una pianta protettiva.

Se la salvia ci parla di benessere discreto, l'alloro evoca un fascino più misterioso e potente. Le sue foglie profumate sono state da sempre associate a forze protettive contro il male. Nelle campagne si credeva che l'alloro fosse un vero e proprio scudo contro le negatività e una leggenda popolare, diffusa in diverse regioni, narra di come proteggesse dalle streghe e dal malocchio, impedendogli di entrare nelle casse e nelle stalle. Invece bruciare foglie d'alloro durante i temporali poteva allontanare i fulmini e le tempeste. Ma la protezione dell'alloro non era solo contro le forze oscure, si credeva anche che tenerne con sé una foglia portasse fortuna e i contadini spesso mettevano una foglia d’alloro nel portafoglio o nella tasca prima di partire per un lungo cammino. Superstizione, certo, ma legata alla sapienza. Non era strano nelle società rurali conoscere il nome di molte piante, saper distinguere un frutto commestibile da uno tossico o, come nell’esempio di salvia e alloro, essere in grado di raccogliere preziose erbe spontanee ed utilizzarle coscientemente. Oggi non ci serve più conoscere la natura fino a questo punto? Forse no, ma è giusto porci la domanda dato che il nostro allontanamento dalle forme di vita vegetali rischia di mettere sempre più a repentaglio il futuro del pianeta.

Usanze e sapori: la saggezza di leggende intramontabili

Un viaggio nel cuore delle tradizioni enogastronomiche deve necessariamente includere un passaggio nell'affascinante mondo della caseificazione, in particolare quella legata ai formaggi stagionati. Qui è re indiscusso il pecorino, con il lento e paziente processo della stagionatura che si svolge in cantine fresche o grotte naturali. Una vera arte che oltre a permettere la conservazione trasforma il latte in un concentrato di sapori e aromi. Tuttavia, un ambiente umido e buio può talvolta presentare problematiche, come la comparsa di piccoli esseri chiamati "saltarelli" o vermi del formaggio (in sostanza larve della mosca, Piophila casei).
Oggi considerati segno di alterazione, tranne in produzioni specifiche come il Casu Marzu sardo, erano invece un tempo oggetto di interpretazione. Antiche fonti etnografiche e studi sul folklore rurale suggeriscono che l'atteggiamento verso queste larve non fosse sempre di rifiuto. La presenza o assenza di questi "abitanti" nel formaggio assumeva un valore di presagio concreto: se i "saltarelli" apparivano rapidamente poteva essere un segnale negativo, quindi annate magre, raccolti scarsi o malattie del bestiame, mentre al contrario un pecorino che si conservava a lungo intatto era simbolo di resistenza e prosperità. Questo perché in un mondo rurale profondamente legato ai ritmi della natura, la velocità di "corruzione" di un alimento fondamentale come il formaggio veniva letta come un sintomo di squilibrio nell'ordine naturale delle cose, un riflesso della precarietà dell'esistenza.

La condizione del formaggio non era semplicemente un dato oggettivo, ma si trasformava in una sorta di linguaggio simbolico attraverso cui interpretare i segnali, spesso criptici, della natura. In passato la sfera alimentare era profondamente intrecciata con un sistema di credenze complesse, mentre oggi la scienza e l’informazione ci permettono di conoscere ben più a fondo gli alimenti e i fenomeni che li modificano. Eppure il paradosso è che allora si seguivano certi dettami, per quanto strambi, mentre ora si sceglie consapevolmente di sottovalutare l’importanza dell’alimentazione e soprattutto del processo di produzione degli alimenti.

 

Usanze e sapori: la saggezza di leggende intramontabili
a cura di

Michele Bellucci

Giornalista-contadino, scrive di cultura ed enogastronomia per Il Messaggero e nel 2019 ha creato una Fattoria didattica in Umbria. Formatore in comunicazione e marketing. È Sommelier, Degustatore di olio EVO, esperto di analisi sensoriale del miele.
 
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