Troppo, di vino ce n'è troppo, ma non è solo colpa del vino, è il mondo in generale che sta producendo più di quello che può consumare e di quello che può permettersi di comperare.
L’Unione Europea per scongiurare il pericolo sovraproduzione (che sta mettendo in serio pericolo il nostro sistema produttivo), elimina i contributi per la distillazione delle eccedenze dei vini DOC, mentre elargisce premi per l'estirpazione dei vigneti e per la distruzione dell'uva verde sulla vite. Che fare? Non credo basti consumare di meno, credo che sia molto più necessario produrre di meno, ma meglio. E se la risposta sembra sempre una sola, penso sia spesso mal compresa, perché puntare sulla qualità e sull'originalità non vuole dire moltiplicare i prodotti di qualità; non vuole dire, ad esempio convertirci tutti al biologico, quando sappiamo che le superfici destinabili ad un biologico di qualità non sono più moltiplicabili, visto che per queste si richiede che siano lontane da siti inquinanti, autostrade o fonti di contaminazione accidentali come campi dove vengono coltivati con colture OGM. Puntare sulla qualità nella crisi di sovraproduzione in cui ci troviamo vuole dire innanzitutto distinguersi. Distinguersi con un prodotto veramente originale, espressione di un territorio e di una storia, di un metodo produttivo, di un blend di vitigni particolare, ma anche di scelte in campo distinte e distinguibili nel prodotto. Vuole dire anche per il consumatore comperare di meno, ma comprare meglio. E qui l'informazione conta moltissimo così come il ruolo del sommelier.
Perché non basta l'etichetta a parlare del vino, occorre sapere cosa sta dietro quel nome: quale storia, quale territorio, quale vocazione, quali scelte di cantina, a quali gusti quel vino risponde, perché è così e non paragonabile a nessun altro. Pensando ai produttori, può essere anche che i meno bravi, i meno appassionati, debbano farsi indietro, debbano lasciare spazio a chi sa che per fare un vino buono ci vogliono scelte anche coraggiose, anche controcorrente, ci vuole sperimentazione, ci vogliono i terreni adatti e il clima giusto, ci vuole creatività e forse anche un pizzico di follia. Il famoso pinot nero di Romanée Conti, uno dei vini più costosi del mondo, viene coltivato in appena 1,8 ettari di terreno con una produzione annua di 5000/6000 bottiglie. Nulla a che vedere con le 70.000 bottiglie annue di Yquem e le 30.000 di Petrus, pur trattandosi di vini molto costosi. Il suolo del vigneto Romanée Conti viene arricchito con un composto di residui di fermentazione e radici di vite.
Vendemmia verde e uso dei buoi per dissodare il terreno al posto dei trattori, sono altri processi di sostanza con cui si fa uno dei vini più ricercati al mondo. Certo è un vino per pochi e non è nell'interesse del mondo del vino che ci siano solo vini per pochi, ma forse produrre meno, valorizzare di più, convincere il consumatore che un vino meglio prodotto fa anche meglio alla sua salute, essere originali veramente e non pretendere di esserlo, può essere una via che, per altro, dietro alle etichette chiede fatti concreti e scelte rischiose.
Giuseppe Vaccarini