Da adesso i riconoscimenti di nuove Denominazioni d’Origine dei vini spettano a Bruxelles, dove un comitato di valutazione istituito all’interno della Comunità Europea avrà il compito di vagliare le domande. Cosa cambierà ancora nessuno è in grado di saperlo. Mentre un dato certo è che, con l’ondata di fine anno che havisto l’approvazione da parte del Comitato Vini del ministero delle Politiche Agricole di altre 37 domande, le Denominazioni d’Origine del vino in Italia sono arrivate a 527, una media di 5 per provincia.
Cinque anni fa erano 350 e negli ultimi tre anni il Comitato Vini ha discusso 320 pratiche. La stessa DOCG che dovrebbe assolvere al ruolo rigoroso di qualità eccelsa ha visto crescere il numero da 40 a 74 denominazioni, quasi il doppio, con alcune dai nomi improbabili e assolutamente sconosciuti alla storia del vino italiano.
Ha un senso tutto questo? Per quanto di grande richiamo a livello mondiale, ha senso legare una Doc ai nomi di Roma o Venezia? Cominciano a chiederselo in tanti, soprattutto i consumatori disorientati, ma anche i turisti internazionali che stanno scegliendo l’Italia per il suo straordinario appeal enogastronomico e che si ritrovano a fare i conti con Denominazioni i cui territori sono difficilmente rintracciabili sulla carta geografica.
E se lo chiedono pure i ristoratori e i loro sommelier alle prese con una carta che tende sempre più a restringersi rispetto a solo pochi anni fa, dove ciò che conta è sempre di più la qualità garantita dal produttore prima ancora che dalla Denominazione.
Luigi Franchi