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Vino. Futuri Possibili. Sostenibilità: fatto dell’anima, paradigma d’impresa o elemento di business? Rispondeteci.

20/06/2012

Vino. Futuri Possibili. Sostenibilità: fatto dell’anima, paradigma d’impresa o elemento di business? Rispondeteci.
La sostenibilità ambientale e sociale e solo uno dei temi caldi che si sono discussi nella sede del Gruppo 24 ORE a commento della presentazione del primo rapporto di filiera “Vino. Futuri Possibili” (http://www.ristorazionecatering.it/professionisti/gruppo-24-ore-trend-vino-futuro/).
A partire da un’operazione molto immediata, ma a quanto pare tutt’altro che semplice: definire “sostenibilità”. Fatto dell’anima, paradigma d’impresa o puro elemento di business? Il Gastronauta Davide Paolini lo ha chiesto a Riccardo Cotarella, enologo e docente di viticoltura ed enologia all’Università della Tuscia di Viterbo e a Emilio Renato Defilippo, enologo e coordinatore del Progetto Magis.

“È un atteggiamento non estremo verso la natura, da tenere senza rinnegare la scienza e l’innovazione. Ed è una questione pratica: il vino deve essere venduto, non va mai dimenticato, quindi tutte le fasi dalla produzione al consumo devono essere sostenibili e sostenute” afferma Cotarella. Ed entra nel vivo: “Oggi le aziende vitivinicole non possono non fare sperimentazione a 360°, a partire da ciò che tradizione e tecnologia mettono a disposizione. Lo stesso discorso vale per il biologico e il biodinamico, che richiedono studio e applicazione, non scelte improvvisate che possono solo creare un danno.”

La ricerca, dunque, del miglior mezzo per il miglior risultato sembra essere l’imperativo e lo stimolo cui il produttore, oggi e domani, dovrà convergere le forze. “Il risultato dipende da tre fattori: il terreno, le persone e il clima, sapendo che quest’ultimo non si può gestire. È il produttore proprietario di azienda che deve decidere in maniera flessibile cosa fare, come e perché, non il consulente o il giornalista.” Mica male come provocazione: chi decide cosa si berrà e il mercato? Il produttore che vuole sopravvivere, il consumatore sempre più evoluto o l’opinion leader per x motivi? La domanda è lanciata a tutti coloro che vorranno rispondere.

Intanto, sul terreno e sulle persone intende lavorare il progetto Magis, che letteralmente significa “dare e fare di più”, per la sostenibilità ambientale, economica e sociale della produzione di vino: “Vogliamo coinvolgere gli attori della filiera per far comprendere loro che si può intervenire solo dove e quando serve, ottimizzando il lavoro d’impresa” spiega DeFilippo. “Magis si propone di abbassare i costi non necessari per una viticultura di precisione contando solo il numero giustificato di interventi.” Economia nell’azione e nei costi, quella del protocollo Magis, che per dare costanza alla produzione e alla qualità punta ad una gestione mirata del vitigno, per renderlo più sano: ad esempio riducendo il numero di trattamenti, limitando le contaminazioni naturali come quelle collegate alla presenza di ocra tossina, una sostanza tossica prodotta da funghi del genere Aspergillus, impiegando minor consumo di acqua, di combustibile e minore emissione di CO2. Ad oggi aderiscono a Magis 140 aziende italiane, dalle storiche alle più piccole: “Il progetto per ora arriva all’uva, ma con un’uva migliorata, più sana, la qualità finale del vino risente positivamente.”

E la cantina che ruolo possiede e avrà in futuro? “Non dobbiamo dividere la strada della vigna da quella della cantina. Entrambe hanno bisogno di tecnologia: l’errore è credere che in cantina serva la chimica, invece serve il controllo della naturale trasformazione, che è biologia e fisica. Questo è da sostenere” afferma Cotarella, che offre una risposta anche in considerazione della dealcolizzaizone: “È invasiva. Pensiamo che all’ estero aggiungono acqua per abbassare la gradazione…” E incita Defilippo: “Lavoriamo di più in vigneto, per trovare il giusto rapporto tra grado alcolico e qualità”.
La qualità dell’uva segna dunque il primo passo verso un futuro in cui l’attenzione sostenibile potrà andare a braccetto con la qualità, insieme all’affinamento tecnologico e, non da ultimo, come sottolinea Paolini “con la cacciata dal mercato dei produttori non virtuosi e con la risorsa-consumatore, informato ed esigente.”
Allora, la seconda domanda che vi lanciamo è questa: la qualità del vino è migliorata e migliorerà (anche) perché sono migliorati i degustatori?

Alessandra Locatelli
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