Questi sono i mesi in cui si fanno consuntivi, il pensiero rivolto a ciò che è stato fatto e a ciò che rimane ancora da fare. Personalmente mi interrogo su questo mondo italiano del vino, che ancora, nonostante i millenni di storia, si comporta come un bambino appena nato, ancora immerso in uno stupore infantile e in una sorta di ingenuità atavica; è bellissimo incontrare vecchi che sanno conservare queste qualità fin negli ultimi anni. Un po’ di dubbi, però, fanno breccia nei miei pensieri quando penso alla conoscenza del vino che possiamo percepire ogni giorno attorno a noi, nonostante molti di noi possano dirsi nati con il bicchiere in mano. Ce n’è tanta? Ce n’è poca? È diffusa? È profonda? Fiumi di vino vengono versati durante le ormai innumerevoli e ormai quasi invadenti fiere di settore e non, mentre di vino e di cucina si parla e discute animatamente e tantissimo anche nel web, anche se poi le riviste languono, chiudono, dimezzano le pagine o non sanno rinnovarsi con un linguaggio adatto e alla portata di tutti. Mentre, a ben vedere, il dibattito è occupato a piè pari dagli addetti ai lavori. Gli altri? Sono fuori a guardare.Intanto in internet si moltiplicano i cercatori di vini pregiati da collezione, bottiglie storiche e favolose che in Italia c’è chi ardisce portarsi a casa per pochi spiccioli, ad un 1/3 del prezzo a cui vengono venduti normalmente, ad esempio, nei canali professionali di Francia.
E allora mi chiedo: ma c’è rispetto nel mondo del vino italiano? C’è passione vera e volontà sincera di farsi conoscere? Ed è giusto che la comunicazione sul vino debba girare sulle bocche di un gruppetto di amici che si fanno l’occhiolino? Non sarebbe forse meglio che, anziché la polemica da quartierino, avesse la meglio il desiderio di conoscenza, la diffusione delle competenze, l’apprendimento di un linguaggio comune. In un paese tardo produttore di vino come gli Stati Uniti si comincia con la vista - sight - e non si presuppone niente, neppure il fatto di essere nati magari anche in California con il bicchiere in mano. Noi preferiamo crederci o dirci grandi conoscitori di vino. Ma lo siamo veramente?
E intanto ci coglie allarmante alle spalle un fatto incontrovertibile: il consumo di vino che in Italia langue; a ciò si aggiunge il fatto che gli operatori di settore legati mani a piedi ai loro fornitori (magari perché preferiscono promettere pagamenti a 90 giorni), fanno fatica a rinnovarsi, a proporre in tavola una carta dei vini intrigante. E allora mi chiedo: ma il vino italiano ha voglia veramente di farsi conoscere e trova realmente nel nostro paese le condizioni adatte alla sua migliore commercializzazione e comunicazione? Mi sembra di no, se sono poi in tanti a fuggire verso l’Oriente o gli Stati Uniti.
Da domani credo però che per noi “addetti ai lavori” sarà il tempo di lasciare alle spalle le lamentele, cercando di creare le condizioni reali, realizzabili, attuali di una migliore conoscenza del nostro vino fino e che veramente non sarà più una questione di addetti ai lavori, fino a che non ci saranno più quartierini.
Giuseppe Vaccarini