Michèle Shah si definisce wine critic ed export consultant. Vanta una pluridecennale esperienza nella penetrazione del vino italiano sui mercati esteri, come dimostra il recente successo di Winett Taste & Trade da lei organizzato tra Venezia e la Sicilia. A lei abbiamo chiesto cosa piace del vino italiano al consumatore straniero?
“Il vino italiano allo straniero piace perché gli ricorda l'Italia, forse le vacanze che ha trascorso in Italia o forse solo l'immagine del 'made in Italy', questo forse sopratutto a chi non è un consumatore esperto, che si lascia trascinare da un sogno, un mito, una memoria o forse da un'emozione. Il vino italiano in questo momento è anche 'trendy', ed è soprattutto grazie alla ristorazione all'estero che il vino italiano ha cosi tanto successo. La ristorazione all'estero è la forza trainante del vino italiano e grazie alla ristorazione il consumatore ora sta iniziando a conoscere i vitigni autoctoni dell'Italia. I vini autoctoni dell'Italia sono la loro 'point of difference', che li differenzia dai vini del nuovo mondo o da altri paesi di produzione. Oggi quasi tutti i vini italiani che vanno all'export sono qualitativamente buoni - anche quelli della fascia bassa 'entry level' - questo è un fatto molto importante, perchè questo è lo zoccolo duro della crescita del vino italiano. Certamente la linea horeca è quella che promuove l'elite del vino italiano, ma bisogna pensare anche alla linea entry level, perchè è da qui che si parte, specialmente in paesi con quelli asiatici, dove ci sono delle tasse altissime; portare un vino che esce a 2euro in Asia alla ristorazione o sullo scaffale si vende in certi paesi a 20/25 euro”.
Ci sono delle varianti di apprezzamento nei diversi mercati internazionali, rispetto al vino italiano?
“Ogni mercato è diverso. – prosegue Michèle Shah - Quelli maturi come quelli europei, e anche gli USA, oggi apprezzano sempre di più i vini autoctoni italiani e sono disposti a pagare prezzi anche più alti per vini di nicchia e vini di denominazioni, o di uvaggi, meno conosciute. Invece i mercati emergenti come la maggior parte di quelli asiatici, Europa dell'est, Russia, hanno bisogno di creare il 'brand' all'estero. Questo 'brand' è inteso come nome dell'azienda, uvaggio, o denominazione e per questo hanno bisogno di garanzie e investimenti da parte dei partner italiani. Forse su questi mercati vanno meglio i blend tra autoctono e vitigni internazionali, vanno meglio vini facili da bere, più immediati, leggermente più abboccati, meno tannici. Comunque oggi, anche nei mercati emergenti ci sono importatori o linea horeca che, in piccole quantità, cercano dei vini autoctoni importanti italiani e meno conosciute. Nei mercati emergenti sono anche a volte importanti i punteggi delle guide come Parker, Wine Spectator e Gambero Rosso”.
Le stesse domande, più una, le abbiamo rivolte a Stefano Perini, produttore tra i più grandi di una ancor poco conosciuta (sui mercati esteri) realtà vitivinicola, quella dei Colli Piacentini. La sua azienda, titolare di più marchi come Poggiarello, Ferrari&Perini, Perinelli e Quattro Valli, esporta in maniera significativa su tutti i mercati esteri, sia quelli tradizionali che quelli emergenti.
“Abbiamo investito per anni in viaggi e fiere all’estero, in inviti ai buyer presso la nostra azienda per farci conoscere e far scoprire gli elementi distintivi dei nostri vini e della nostra azienda: spontaneità e facilità di comprensione. In pratica gli stessi elementi per cui il vino italiano è amato all’estero”.
In Italia è in atto una tendenza verso vini freschi e con un prezzo accessibile. Potrebbe essere questa una risposta al calo dei consumi?
“Assolutamente sì. – conferma Stefano Perini – Il vino in italia è da sempre un prodotto quotidiano e per continuare ad esserlo deve essere accessibile, fresco e umile”.
Dello stesso parere Marco Parizzi, vicepresidente dei Jeunes Restaurateurs d’Europe ITALIA, chef del Ristorante Parizzi a Parma e noto personaggio televisivo, a cui abbiamo chiesto come sono cambiati i gusti dei clienti di un ristorante, in quest’ultimo periodo, rispetto alle tipologie di vino.
“Negli ultimi tempi i clienti tendono a ricercare vini a bassa gradazione sempre per l’attenzione che citavo prima alla sicurezza stradale. Devo registrare inoltre una spropositata crescita del volume delle informazioni sui vini che aiutano sì a conoscere meglio i prodotti ma contemporaneamente disorientano la clientela. Nel complesso mi sento di affermare che i consumatori di vino italiani fanno scelte per così dire più ‘alternative’, ricercate spesso guidate dalla volontà di distinguersi dalla massa”.
Cosa prediligono, vini freschi o strutturati?
“C’è un totale rifiuto dei vini barricati a favore di quelli in acciaio e dei vini giovani. C’è una maggiore ricerca di immediatezza e di internazionalità: stanno crescendo anche i consumi di vini cileni e australiani, nuove realtà vinicole che producono a prezzi più contenuti e diventano quindi più avvicinabili dal pubblico italiano”.
Perché, mentre all’estero il vino italiano vola, in Italia i consumi calano?
“Due sono i fattori che fanno calare il consumo di vino in Italia: la crescente attenzione verso la sicurezza al volante e le conseguenze dell’abuso di alcol e la necessità di risparmiare. Le motivazioni più frequenti che danno i clienti quando rifiutano di bere vino italiano sono infatti la paura di perdere punti sulla patente e i prezzi eccessivi delle bottiglie. Se prima potevamo contare sul consumo di due bottiglie ogni 4 coperti, oggi preferiscono consumarne una sola, con la conseguenza che 3 tavoli su 12 non consumano vino italiano durante i pasti. Di contro i paesi stranieri stanno uscendo da un momento di crisi e la ripresa economica porta ad una maggiore possibilità di acquisto e consumo di etichette italiane”.
Non sarebbe il caso che sia proprio la ristorazione italiana, magari quella giovane e dinamica, avviare una nuova primavera del vino italiano? Le parole di Michèle Shah sono un chiaro esempio che si può fare.
Luigi Franchi
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