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Vino italiano tra mercato nazionale ed estero

05/04/2011

Vino italiano tra mercato nazionale ed estero
Vino italiano tra mercato nazionale ed estero
Michèle Shah si definisce wine critic ed export consultant. Vanta una pluridecennale esperienza nella penetrazione del vino italiano sui mercati esteri, come dimostra il recente successo di Winett Taste & Trade da lei organizzato tra Venezia e la Sicilia. A lei abbiamo chiesto cosa piace del vino italiano al consumatore straniero?
Il vino italiano allo straniero piace perché gli ricorda l'Italia, forse le vacanze che ha trascorso in Italia o forse solo l'immagine del 'made in Italy', questo forse sopratutto a chi non è un consumatore esperto, che si lascia trascinare da un sogno, un mito, una memoria o forse da un'emozione. Il vino italiano in questo momento è anche 'trendy', ed è soprattutto grazie alla ristorazione all'estero che il vino italiano ha cosi tanto successo. La ristorazione all'estero è la forza trainante del vino italiano e grazie alla ristorazione il consumatore ora sta iniziando a conoscere i vitigni autoctoni dell'Italia.  I vini autoctoni dell'Italia sono la loro 'point of difference',  che li differenzia dai vini del nuovo mondo o da altri paesi di produzione.  Oggi quasi tutti i vini italiani che vanno all'export sono qualitativamente buoni - anche quelli della fascia bassa 'entry level' - questo è un fatto molto importante, perchè questo è lo zoccolo duro della crescita del vino italiano. Certamente la linea horeca è quella che promuove l'elite del vino italiano, ma bisogna pensare anche alla linea entry level, perchè è da qui che si parte, specialmente in paesi con quelli asiatici, dove ci sono delle tasse altissime; portare un vino che esce a 2euro in Asia alla ristorazione o sullo scaffale si vende in certi paesi a 20/25 euro”.
Ci sono delle varianti di apprezzamento nei diversi mercati internazionali, rispetto al vino italiano?
Ogni mercato è diverso. – prosegue Michèle Shah - Quelli maturi come quelli europei, e anche gli USA, oggi apprezzano sempre di più i vini autoctoni italiani e sono disposti a pagare prezzi anche più alti per vini di nicchia e vini di denominazioni, o di uvaggi, meno conosciute.  Invece i mercati emergenti come la maggior parte di quelli asiatici, Europa dell'est, Russia, hanno bisogno di creare il 'brand' all'estero. Questo 'brand' è inteso come nome dell'azienda, uvaggio, o denominazione e per questo hanno bisogno di garanzie e investimenti da parte dei partner italiani. Forse su questi mercati vanno meglio i blend tra autoctono e vitigni internazionali, vanno meglio vini facili da bere, più immediati, leggermente più abboccati, meno tannici. Comunque oggi, anche nei mercati emergenti ci sono importatori o linea horeca che, in piccole quantità, cercano dei vini autoctoni importanti italiani e meno conosciute. Nei mercati emergenti sono anche a volte importanti i punteggi delle guide come Parker, Wine Spectator e Gambero Rosso”.
Le stesse domande, più una, le abbiamo rivolte a Stefano Perini, produttore tra i più grandi di una ancor poco conosciuta (sui mercati esteri) realtà vitivinicola, quella dei Colli Piacentini. La sua azienda, titolare di più marchi come Poggiarello, Ferrari&Perini, Perinelli e Quattro Valli, esporta in maniera significativa su tutti i mercati esteri, sia quelli tradizionali che quelli emergenti.
Abbiamo investito per anni in viaggi e fiere all’estero, in inviti ai buyer presso la nostra azienda per farci conoscere e far scoprire gli elementi distintivi dei nostri vini e della nostra azienda: spontaneità e facilità di comprensione. In pratica gli stessi elementi per cui il vino italiano è amato all’estero”.
In Italia è in atto una tendenza verso vini freschi e con un prezzo accessibile. Potrebbe essere questa una risposta al calo dei consumi?
Assolutamente sì. – conferma Stefano Perini – Il vino in italia è da sempre un prodotto quotidiano e per continuare ad esserlo deve essere accessibile, fresco e umile”.
Dello stesso parere Marco Parizzi, vicepresidente dei Jeunes Restaurateurs d’Europe ITALIA, chef del Ristorante Parizzi a Parma e noto personaggio televisivo, a cui abbiamo chiesto come sono cambiati i gusti dei clienti di un ristorante, in quest’ultimo periodo, rispetto alle tipologie di vino.
Negli ultimi tempi i clienti tendono a ricercare vini a bassa gradazione sempre per l’attenzione che citavo prima alla sicurezza stradale. Devo registrare inoltre una spropositata crescita del volume delle informazioni sui vini che aiutano sì a conoscere meglio i prodotti ma contemporaneamente disorientano la clientela. Nel complesso mi sento di affermare che i consumatori di vino italiani fanno scelte per così dire più ‘alternative’, ricercate spesso guidate dalla volontà di distinguersi dalla massa”.
Cosa prediligono, vini freschi o strutturati?
C’è un totale rifiuto dei vini barricati a favore di quelli in acciaio e dei vini giovani. C’è una maggiore ricerca di immediatezza e di internazionalità: stanno crescendo anche i consumi di vini cileni e australiani, nuove realtà vinicole che producono a prezzi più contenuti e diventano quindi più avvicinabili dal pubblico italiano”.
Perché, mentre all’estero il vino italiano vola, in Italia i consumi calano?
Due sono i fattori che fanno calare il consumo di vino in Italia: la crescente attenzione verso la sicurezza al volante e le conseguenze dell’abuso di alcol e la necessità di risparmiare. Le motivazioni più frequenti che danno i clienti quando rifiutano di bere vino italiano sono infatti la paura di perdere punti sulla patente e i prezzi eccessivi delle bottiglie. Se prima potevamo contare sul consumo di due bottiglie ogni 4 coperti, oggi preferiscono consumarne una sola, con la conseguenza che 3 tavoli su 12 non consumano vino italiano durante i pasti. Di contro i paesi stranieri stanno uscendo da un momento di crisi e la ripresa economica porta ad una maggiore possibilità di acquisto e consumo di etichette italiane”.
Non sarebbe il caso che sia proprio la ristorazione italiana, magari quella giovane e dinamica, avviare una nuova primavera del vino italiano? Le parole di Michèle Shah sono un chiaro esempio che si può fare.

Luigi Franchi

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