Il primo alambicco
Quell’approccio gli apre gli occhi, restituendogli il senso del fare le cose in un certo modo, e sempre meno accetta di vedere la quasi totalità dei suoi colleghi, operai dell’azienda, alle prese con quelli che loro ritengono essere alambicchi, costruiti la sera a casa propria per poter farsi la grappa, che poi si rivela di pessima qualità.
“Questi alambicchi non vanno bene - li ammonisce Capovilla – non ci sono i metalli giusti, non c’è la forma adeguata, no all’acciaio inossidabile, ci vuole il rame fino ad un certo punto però...”.
Pronta la risposta degli orgogliosi colleghi “ Seto sempre tuto ti? Prova ti!” (Sai sempre tutto te? Prova te!) finché non vengono presi sul serio. Gianni Capovilla decide di farsi costruire in Austria un alambicco a bagnomaria da 80 litri e poi si ingegna a farlo arrivare in Italia un pezzo alla volta, “perché allora le frontiere erano frontiere” ricorda divertito.
E aggiunge “così ho cominciato a “giocare”, distillando 10 anni per hobby, nel mentre chiedevo consigli ai professionisti che incontravo quotidianamente per lavoro (vendita attrezzature enologiche), mettevo a fuoco i grandi distillatori d’Europa a cui facevo puntualmente visita, continuavo a studiare e cercavo, cosa non semplice, il posto giusto per partire, che poi ho individuato nei rustici annessi a villa Dolfin Boldù a Rosà. E via via si faceva chiaro il pensiero che era con le mani che volevo lavorare e che questo era il momento di fare il salto, perché quello che stavo facendo – pur dandomi soddisfazioni – non era il mio lavoro. Convinzione e forza fisica erano dalla mia parte. Se avessi rimandato, qualcosa avrebbe potuto venire meno”.