Su questo numero ospitiamo un articolo che parla di un borgo appenninico abbandonato e che stanno recuperando grazie alla determinazione di alcune persone che non pensano solo a sé stesse.
Vi chiederete cosa c’entra tutto questo in una rivista che parla prevalentemente di ristorazione. C’entra, per molti motivi, il primo dei quali implica una parola: comunità.
Una parola che, attualmente, sembra quasi antica. Le comunità oggi sono digitali, virtuali, costituite dai follower. Ma il significato stesso della parola – un insieme di persone unite tra di loro da rapporti sociali – va in altra direzione, si muove lungo i binari dei rapporti quotidiani, rende i luoghi attrattivi proprio perché la vita in quelle comunità è degna di essere vissuta, perché i rapporti umani superano qualsiasi ostacolo: di linguaggio, di colore, di tradizione.
Lo scoprirete nell’articolo dove porta la volontà delle persone verso gli altri.
Mi limito qui a elencare i motivi per cui parliamo di comunità: perché è il primo risultato che si raggiunge quando accogliamo qualcuno, anche in un hotel, anche in un ristorante, per il poco tempo che quel qualcuno resta con noi. Coinvolgere le persone, farle sentire a casa anche in luoghi che incontrano per la prima volta, confrontarsi con loro sulla biodiversità dei luoghi significa fare del turismo non un fenomeno massificato che non offre nulla, bensì un momento di conoscenza vera, di vissuto che, come dice Francesco Biacca, tra i fondatori del bellissimo Festival dell’Ospitalità di Nicotera (VV) e componente attivo dell’Associazione Progetti Ospitali, “è per noi il racconto di come le comunità possano essere il cuore dal quale parte il cambiamento. Un cambiamento che vede la valorizzazione della biodiversità e l’impegno verso la sostenibilità come strada maestra da seguire. Se vogliamo un futuro sostenibile dobbiamo contribuire a quel percorso di consapevolezza che tutte le comunità dovrebbero intraprendere. Comunità di destino, appunto, che conoscano e osino orientare le politiche del proprio territorio nella direzione di un cambiamento agito in prima persona”.
Per questo parlare di comunità in una rivista di ristorazione ma anche di accoglienza, come recita il nostro sottotitolo, è un dovere morale da cui non ci vogliamo esimere. Perché l’Italia è questo, per come è costituita, per l’85% del territorio, da piccoli borghi che, per sopravvivere, devono vedere i loro abitanti tornare a fare una cosa semplice: parlarsi!
E la ristorazione, vero attuale fenomeno sociale, può rappresentare uno dei luoghi ideali per fare questo: il cibo ha sempre avuto una funzione sociale, la scoperta del fuoco anche per cucinare ha fatto sedere le persone in circolo e queste hanno cominciato a parlarsi. Ancora oggi il cibo ha questa funzione primaria: creare comunità!
Accogliere è una delle azioni che rendono le persone più sensibili, che riducono fino a cancellarle le brutture quotidiane, che ci fanno crescere, capire, conoscere davvero il mondo che ci ruota intorno. Perché non provarci?
Benhur Tondini