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Antonio Gervasio

12/12/2024

Antonio Gervasio

A Cerignola, nel Tavoliere delle Puglie, furono difesi i diritti dei lavoratori della terra in anni in cui i contadini non avevano nessuna possibilità di essere considerati per l’importante ruolo di difensori dei territori.

Non poteva crescere che qui la visione illuminista di Antonio Gervasio, terza generazione di una famiglia che con la terra ha sempre avuto un rapporto di amore al punto che lui stesso si definisce custode della terra.

Un percorso che risale ai primi del Novecento con i nonni caparbi contadini, la mamma Donata De Palma che ha seguito l’insegnamento dei padri con determinazione, convinta che lei dovesse vincere la sfida che si era posta; mantenere in vita l’azienda, farla crescere, garantire ai suoi figli, qualora lo volessero, un futuro in queste terre.

E i suoi figli, Antonio e Donato, hanno scelto di diventare la terza generazione, lo hanno fatto con coscienza, con amore, con rispetto per chi ha tenuto duro, anche in anni dove fare l’agricoltore significava essere tra gli ultimi.

E da qui comincia il racconto di Antonio Gervasio: “La nostra è una famiglia che parte da radici profonde nell’ambito agricolo. Il saper coltivare, essere in grado di riconoscere e gestire con competenza i tempi del lavoro agricolo ci ha permesso di andare avanti, di andare oltre come dico sempre. Queste competenze le abbiamo poi declinate, io e mio fratello, in una qualità che non si percepiva quasi più, in Italia, all’epoca in cui siamo entrati in azienda. Erano gli anni tra l’Ottanta e il Novanta del secolo scorso, anni nei quali il prodotto agricolo era imbustato nella plastica, inscatolato per essere posto in vendita in anonimi supermercati. Noi, invece, volevamo rispettare le nostre materie prime. Ci siamo posti in osservazione, in ascolto, per riflettere sul futuro. Questi approfondimenti ci hanno portato a fare una scelta che, in quell’epoca, era quasi una follia; coltivare, rispettando la terra e le stagioni, e poi surgelare. In quegli anni la surgelazione era considerata come una cosa quasi malsana, mancavano le conoscenze da parte delle persone di come il freddo sia, in realtà, il miglior processo di conservazione degli alimenti. Noi invece volevamo mantenere ferme le proprietà, i colori dei nostri ortaggi e quello era l’unico modo. L’idea chiara era anche quella di individuare un mercato preciso per i nostri prodotti: la scelta, fin dall’inizio, fu quella della ristorazione. Ci chiedevano di coltivare soprattutto quelle verdure spontanee, antiche, che diventavano sempre meno reperibili. E noi abbiamo scelto di percorrere quella strada. Difficile, perché necessitava di un lavoro immane di ricerca dal momento che non c’era quasi più memoria, non c’erano e ancora oggi non ci sono semi né libri scritti che ne consentano una lettura certa ma tutto questo affascinava tutta la nostra famiglia, mia mamma per prima!”

Donato FriarielliDonato Friarielli

Andiamo con ordine: quando hai deciso di cambiare, di chiamare l’azienda Spirito Contadino e perché?

“Per questo devo ringraziare mio padre Guido che, fin da quando ero piccolo, mi stimolava portandomi con sé nei campi, nei mercati. Mi diceva sempre: andiamo, vieni con me! In quel modo posso dire che ho vissuto l’evoluzione dell’azienda agricola e ho imparato subito che ogni azione che fanno le persone è mossa dal dolore o dal piacere. Noi coltivavamo ma con il dolore che tutti i nostri sforzi finivano solo in mano ai mediatori, ai commercianti, non avevamo più un’identità. Dare valore alla terra, che oggi è il nostro pay-off, diventava ogni giorno di più la strada per sostituire il dolore con il piacere. Una strada che ci ha permesso si guardare avanti. Da ragazzo, ancora studente, ho sviluppato i contatti con il mondo universitario, con il CNR, con le banche dati custodi dei semi e delle spezie. E ho scoperto subito una cosa: che molti professori che fanno il loro mestiere con passione sono pronti a schierarsi, a sostenerti! Mi hai chiesto come nasce il nome dell’azienda? Da una serie di considerazioni, ad esempio gli chef volevano capire chi era l’anima di un progetto come quello che stavamo sviluppando e noi volevamo far capire, da subito, che eravamo contadini. La parola anima era troppo sfruttata e quindi abbiamo optato per spirito: Spirito Contadino”.

Composizione Verdure Spirito ContadinoComposizione Verdure Spirito Contadino

Dimmi chi lavora con te, dove, cosa coltivate, su quanti ettari?

“Stiamo vivendo, per fortuna, una grandissima evoluzione, un salto di crescita eccezionale, frutto di anni di relazioni oneste e di metodi di coltivazione naturali. Oggi in azienda siamo in 120. Abbiamo collaboratori per ogni comparto: dalla coltivazione alla cura e riproduzione dei semi fino al prodotto finito, compreso il marketing, la formazione, la ricerca e la conservazione. Tra i metodi di lavoro teniamo molto a raccontare quello dei campi specifici per la riproduzione dei semi. Abbiamo varietà di terza generazione come noi: le nostre cime di rapa hanno cent’anni di vita, il loro seme è stato consegnato alla banca del germoplasma ed è stato identificato con il nome Cime di rapa di Spirito Contadino. In azienda coltiviamo 36 referenze: 17 verdure in crosta di farina di grano e 19 verdure naturali. In fase di sperimentazione ne abbiamo 33 e se consideri che, in Italia, sono quasi 500 le specie in fase di estinzione ti rendi conto di quanto lavoro ci sia ancora da fare. Solo con le nostre 36 specie stiamo facendo un lavoro di ricerca volto a soddisfare i bisogni della ristorazione: creare una verdura dolce, una acida, una amara, una verde, una di altro colore. Guardiamo, in pratica, a tutti gli aspetti che servono nella composizione di un piatto. Questo è il nostro stile, fin dagli inizi, quando con le verdure in crosta di farina di grano, in pezzature piccole, abbiamo dato risposta alla composizione dei vari menu. Tutto questo lo condivido con mio fratello Donato che si occupa delle coltivazioni, mentre a me tocca il compito di promuovere e commercializzare”.

Antonio Gervasio

L’emergenza climatica è un problema? Quanto incide sul futuro di questa attività?

“Qui occorre fare chiarezza. Il cambiamento climatico è sicuramente un problema ma occorre capire in quale stagione lo diventa davvero e, per noi, è l’inverno. Inverni dove manca il freddo creano problemi di difficile soluzione per le coltivazioni di quelle stagioni: le cime di rapa, i cavolfiori, i finocchi, i broccoli ecc.. Mentre nelle altre stagioni è sufficiente, per ora, anticipare o posticipare le coltivazioni. Noi lavoriamo su 120 ettari suddivisi in cinque grandi appezzamenti dove facciamo rotazioni colturali per rispettare la terra, con grandi operazioni di sovescio con i nostri semi che mantengono la fertilità naturale dei terreni”.

Antonio Gervasio

Avete, da subito, individuato la ristorazione come mercato privilegiato; come sono stati i primi approcci con gli chef, come reagivano, cosa li ha convinti?

“I primi contatti sono stati con la ristorazione locale che, però, poteva avere le verdure fresche in ogni momento, quindi noi dovevamo dar loro qualcosa di diverso. Abbiamo ricevuto tanti no e pochi si, lo confesso, ma non abbiamo mollato. Abbiamo cercato pervicacemente il dialogo, facendo capire cosa significa surgelato, dando un prodotto pulito, senza sprechi, con verdure che avevano la particolarità di essere quasi uniche perché erano specie antiche, con un food cost stabilito a monte. Parlavamo con una ristorazione di fascia media, con le grandi sale da ricevimento che, in Puglia, sono uno status. Siamo riusciti a convincere gli chef pugliesi e, successivamente, abbiamo affrontato il mercato lombardo grazie agli stessi chef che emigravano. Poi è seguito lo sviluppo verso i distributori che oggi sono 95 in tutta Italia, suddivisi per precise aree geografiche”.

 

Come avviene il vostro processo di surgelazione?

“Anche qui abbiamo dovuto fare scelte per migliorare ulteriormente passando dalla surgelazione meccanica alla surgelazione criogenica dove le materie prime vengono surgelate in pochissimo tempo a meno 60° gradi, in assenza di ossigeno. È un processo ben più costoso ma anche questo deve essere tangibile per il nostro cliente che ne possa riconosce il valore”.

 

Nel tuo sito ho trovato due nomi che alludono a precisi progetti: cominciamo con il primo, Conterraneum…

“Conterraneum nasce da una profonda convinzione; coinvolgere tutti gli attori della filiera per raggiungere un obiettivo preciso. Soddisfare i bisogni dell’ospite di un ristorante. Lo sviluppo della filiera felice parte da noi contadini e prosegue con il supporto della ricerca e l'impegno dei distributori e dei ristoratori che divulgano la conoscenza attraverso i piatti al cliente finale. Questo circolo virtuoso di sostenibilità genera prosperità e sviluppo per ognuno, accrescendone anche il successo. Essere Conterraneum significa abbracciare un'esperienza che va oltre il semplice atto di nutrire e nutrirsi: è un invito ad abbracciare il benessere che deriva dal consumo di verdure e ortaggi coltivati con coscienza e rispetto per l'ambiente. Per fare questo tutti i protagonisti della filiera devono essere parte attiva del progetto. I ristoratori creando piatti di eccellente pregio nutrizionale ed etico. I distributori sentendosi valorizzati dall’azienda fornitrice, la nostra, perché ci avranno sempre al loro fianco per spiegare i nostri progetti, le nostre idee”.

Antonio Gervasio

E Biofilia cosa significa?

“In questi anni abbiamo visto tante sigle, da biologico a biodinamico per esempio, che hanno segnato cambi di passo nei metodi di coltivazione. Volevamo conoscere bene il biologico e ci siamo certificati ICEA come biologici ma non usiamo questa certificazione, perché ha degli aspetti che non rientrano nei nostri parametri. Ti faccio un esempio: il biologico ammette l’utilizzo del rame con quattro chili per ettaro, a noi ne bastano due. Abbiamo ideato Biofilia per esaltare il legame antico genetico che c’è tra l’uomo e la natura; Biofilia è l’innata tendenza dell’uomo a provare amore per la terra. Tanti lavori sono fatti manualmente, raccogliamo tutto a mano, coltiviamo senza chimica sintetica. È la capacità di rimanere sintonizzati con quella parte di noi che “sa” che siamo natura. È il legame genetico tra uomo e natura che si concretizza con il senso di fiducia, rispetto, amore nei confronti del mondo che ci ha ispirato ad essere contadini per scelta. È la nostra essenza”.

 

Un’ultima domanda Antonio: le vostre verdure sono state oggetto di una ricerca che ha avuto un’eco mondiale. Di cosa si tratta?

“La ricerca è stata resa possibile grazie a Luigi Giannelli, direttore dell’Ospedale Saverio De Bellis di Castellana Grotte. Ci hanno chiesto di partecipare alla ricerca fornendo le nostre verdure a 40 pazienti che soffrivano di steatosi epatica, la malattia del fegato grasso. Oltre alle verdure la ricerca si concentrava su un medicinale indicao per la cura di questa malattia. Abbiamo portato a casa dei pazienti, per settimane gratuitamente, il cesto di verdure che loro cucinavano sotto un’attenta e rigorosa attenzione dei medici e il risultato è stato incredibile: la malattia è diminuita del 50% mangiando le nostre verdure. È stata la prima ricerca a livello mondiale per questa malattia”.

Antonio Gervasio

Te ne faccio ancora una: il vegetale sta crescendo nella ristorazione?

 “Si, sta crescendo in maniera accelerata. Nelle pizzerie, in particolar modo, notiamo un modo di ragionare del pizzaiolo che sta guardando moltissimo alla qualità e alla varietà del topping e le verdure sono un grande aiuto in tal senso. Un’altra categoria che sta prestando molta attenzione è quella dei pub dove si cerca qualità e particolarità nelle verdure. La ristorazione, infine, ci dice che sta cambiando la composizione del piatto, con più verdure e meno carne o pesce”.

a cura di

Luigi Franchi

La passione per la ristorazione è avvenuta facendo il fotografo nei primi anni ’90. Lì conobbe ed ebbe la stima di Gino Veronelli, Franco Colombani e Antonio Santini. Quella stima lo ha accompagnato nel percorso per diventare giornalista e direttore di sala&cucina, magazine di accoglienza e ristorazione.
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