A Cerignola, nel Tavoliere delle Puglie, furono difesi i diritti dei lavoratori della terra in anni in cui i contadini non avevano nessuna possibilità di essere considerati per l’importante ruolo di difensori dei territori.
Non poteva crescere che qui la visione illuminista di Antonio Gervasio, terza generazione di una famiglia che con la terra ha sempre avuto un rapporto di amore al punto che lui stesso si definisce custode della terra.
Un percorso che risale ai primi del Novecento con i nonni caparbi contadini, la mamma Donata De Palma che ha seguito l’insegnamento dei padri con determinazione, convinta che lei dovesse vincere la sfida che si era posta; mantenere in vita l’azienda, farla crescere, garantire ai suoi figli, qualora lo volessero, un futuro in queste terre.
E i suoi figli, Antonio e Donato, hanno scelto di diventare la terza generazione, lo hanno fatto con coscienza, con amore, con rispetto per chi ha tenuto duro, anche in anni dove fare l’agricoltore significava essere tra gli ultimi.
E da qui comincia il racconto di Antonio Gervasio: “La nostra è una famiglia che parte da radici profonde nell’ambito agricolo. Il saper coltivare, essere in grado di riconoscere e gestire con competenza i tempi del lavoro agricolo ci ha permesso di andare avanti, di andare oltre come dico sempre. Queste competenze le abbiamo poi declinate, io e mio fratello, in una qualità che non si percepiva quasi più, in Italia, all’epoca in cui siamo entrati in azienda. Erano gli anni tra l’Ottanta e il Novanta del secolo scorso, anni nei quali il prodotto agricolo era imbustato nella plastica, inscatolato per essere posto in vendita in anonimi supermercati. Noi, invece, volevamo rispettare le nostre materie prime. Ci siamo posti in osservazione, in ascolto, per riflettere sul futuro. Questi approfondimenti ci hanno portato a fare una scelta che, in quell’epoca, era quasi una follia; coltivare, rispettando la terra e le stagioni, e poi surgelare. In quegli anni la surgelazione era considerata come una cosa quasi malsana, mancavano le conoscenze da parte delle persone di come il freddo sia, in realtà, il miglior processo di conservazione degli alimenti. Noi invece volevamo mantenere ferme le proprietà, i colori dei nostri ortaggi e quello era l’unico modo. L’idea chiara era anche quella di individuare un mercato preciso per i nostri prodotti: la scelta, fin dall’inizio, fu quella della ristorazione. Ci chiedevano di coltivare soprattutto quelle verdure spontanee, antiche, che diventavano sempre meno reperibili. E noi abbiamo scelto di percorrere quella strada. Difficile, perché necessitava di un lavoro immane di ricerca dal momento che non c’era quasi più memoria, non c’erano e ancora oggi non ci sono semi né libri scritti che ne consentano una lettura certa ma tutto questo affascinava tutta la nostra famiglia, mia mamma per prima!”