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Si rompono le righe in cucina

12/07/2024

Si rompono le righe in cucina

August Escoffier, il re dei cuochi vissuto nell’Ottocento, viene ricordato soprattutto per due ragioni: il volume La Guida alla Grande Cucina (contenente 500 ricette su cui hanno studiato più generazioni di chef di tutto il mondo) e la codificazione della cucina professionale attraverso la brigata. Sicuramente qualcuno lo evocherà anche per l’ideazione pesca Melba, ma le prime due hanno un peso decisamente diverso, hanno condizionato il corso della gastronomia globale!
È doveroso partire da qui per tracciare i cambiamenti che hanno attraversato, e stanno attraversando, le nostre cucine. Sono profondi, probabilmente duraturi, e certamente sono il riflesso di una ristorazione che sta mutando pelle rapidamente, in funzione di esigenze e innovazioni interne, ma anche esterne, ai muri del ristorante.

Luci e ombre del modello brigata

Dicevamo, fu Escoffier a stabilire, nel contesto dei grandi alberghi di fine ‘800 - in cui era richiesta efficienza, rapidità e puntuale organizzazione per via dei grandi volumi da gestire - la nascita di un modello di gestione della cucina, ovvero la brigata. Era appena finita la guerra franco-prussiana ed Escoffier si ispirò al modello gerarchico militare, introducendo un metodo che avrebbe condizionato per decenni la ristorazione, a qualsiasi livello, e ben oltre i confini francesi. 

È ancora oggi sorprendente scorrere la ripartizione originaria dei ruoli, ammirare  una differenziazione davvero millimetrica delle mansioni dei componenti della brigata di cucina. Non vi diciamo nulla di nuovo: executive chef, sous chef, la squadriglia degli chef de partie, chef glacier, chef grilladin…

Ma se da un lato questo sistema ha reso possibile la crescita della ristorazione sotto il piano qualitativo e dell’efficienza, passando per una ferrea specializzazione dei ruoli, dall’altro ha stabilito delle regole piramidali che hanno in molti casi condizionato negativamente la qualità di vita di lavoro dei membri di cucina.

Ci diceva il giornalista Gabriele Zanatta, in un’intervista pubblicata su questo magazine nel 2022, mentre il settore si stava interrogando sul futuro dopo“i traumi” dovuti alla pandemia: “Questa abitudine organizzativa è rimasta ancora intatta in alcuni ristoranti. Tutto questo ha generato anche tossicità nei ristoranti odierni dove un sous-chef ritiene lecito trattar male un commis. É necessario un riequilibrio della situazione: con stipendi soddisfacenti; con un giusto rapporto lavoro-vita, il motivo per cui oggi molte persone decidono di cambiare mestiere, e questo è un problema mondiale. Un ristorante è la somma delle persone che lo compongono e, se una persona non è felice di quello che fa, come può rendere felici gli ospiti”.

A distanza di due anni da questa dichiarazione possiamo dire che la ristorazione stia ancora sposando il modello introdotto da Escoffier? Oppure stia virando verso nuove consuetudini gestionali? Quali sono i nuovi termini che abitano le cucine?

Si rompono le righe in cucina

Il tempo non muta solo le ricette
Si è parlato molto di innovazioni in cucina, di etica nel piatto e di sostenibilità in questo ultimo decennio, ma il cambiamento si sta consolidando sempre di più anche su quella sfera che fino a pochi anni fa era considerata meno ‘interessante’ per il ristoratore-imprenditore: le risorse umane che animano il ristorante.
Al di fuori di una certa tipologia di insegne - a cui sarebbe curioso chiedere come si vedono organizzate in futuro, vista la costante carenza di nuove figure da inserire   - le cucina si sta asciugando numericamente. Chi lavora in una cucina professionale si ritrova spesso a dover coprire più ruoli (ruoli per come li intendeva Escoffier); passa da una preparazione all’altra, dall’impiattamento alla composizione degli antipasti, balzando alla griglia, a volte in sala, e via dicendo. Fanno eccezione, per il momento, i locali che ancora riescono a disporre di un numero considerevole di personale, qualificato o attinto dai corsi di formazione, aiutati anche dal prestigio del nome. Nel complesso la tendenza, tuttavia, è quella della contrazione, e della richiesta di una grandissima flessibilità da parte del cuoco. Pensare che si debba ragionare e impostare il lavoro ‘come è sempre stato fatto’ non è altro che un limite per il miglioramento e l’attrattività di un ristorante!

Si rompono le righe in cucina

Dalla tecnologia al nuovo significato di brigata

La tecnologia, dove impiegata in modo intelligente, ha reso possibile una netta accelerazione dei tempi di preparazione diminuendo, apparentemente, l’esigenza di personale.
Ma è sbagliato pensare che la tecnologia possa sostituire le persone: in ogni caso le cucine hanno bisogno di risorse, di mani e di menti capaci che possano far convergere idee e sensibilità per portare innovazioni. E questo è uno dei temi centrali, più ricorrenti, che ci troviamo a raccogliere nel confronto con cuochi e ristoratori.

 

Per avvicinare nuovi cuochi c’è la necessità, evidentemente, di definire un nuovo modello di gestione della cucina, in cui l’organigramma è guidato da figure con precise responsabilità, date dall’esperienza e dalla competenza, ma in cui la trama di fondo è costituita da rispetto e coesione tra i membri del team. 

Vanno sicuramente superate le logiche di sottomissione e superiorità, riformulato il linguaggio, se si vuole essere più attrattivi verso le nuove leve. Bisogna puntare a rendere l’ambiente di lavoro un luogo sano, stimolante, in cui le persone possono maturare singolarmente e nel collettivo, con un piano di crescita definito. 

Inoltre, in un contesto storico in cui tutto va veloce, pensare che per raggiungere una certa posizione all’interno di una cucina ci vogliano anni non è in linea con il ritmo moderno. È necessario un piano di crescita più rapido, in cui la pratica e la formazione sono fondanti, ma anche convergenti alla tecnologia, per consentire tempistiche più strette nell’allineamento del personale.

È un po’ quello che possiamo osservare in tante aziende moderne che lavorano al di fuori della ristorazione: mettono sullo stesso piano i macro-obiettivi aziendali e la motivazione del singolo dipendente. Non lo lasciano solo, lo accompagnano.
Alla pari, chi fa parte di una brigata deve sentirsi parte di un progetto, in cui può crescere e perfezionarsi. Non deve mai sentirsi l’ultimo anello del carro; il garzone che vede per un giorno intero solo celle e piatti da lavare senza che gli venga mai riconosciuto alcun valore non è ammissibile. Deve sentirsi alla pari come importanza… nei fatti, non a parole! 

Si rompono le righe in cucina

Se non ci sono più i canonici menu

Non è un attacco alle attività più storiche né ai professionisti che da decenni si impegnano nella ristorazione… ma avanzo una constatazione. Purtroppo intercetto ancora un grande pregiudizio verso le nuove attività; molti rimangono barricati nelle loro idee o si muovono solo all’interno dei loro serratissimi circoli.

Invece, osservare ciò che avviene fuori dal proprio ristorante, conoscere anche un nuovo tipo di ristorazione che sta prendendo piede, non può essere più ritenuta un’attività secondaria. Aiuta ad innovare la propria e, magari, può stimolare un consiglio a chi si è affacciato da poco al settore.

Sono tante le insegne gestite da giovani imprenditori che trasudano senso di appartenenza, in cui ci si spalleggia nelle ore di lavoro e anche al di fuori, si cresce insieme e perché no, ci si diverte anche. In quei locali c’è una divisione dei compiti ma non ha nulla a che fare con una gerarchia gonfia di ego e con le assurde formalità a cui ci ha abituati la ristorazione dei decenni scorsi. 

Il rispetto (anche dai giovani verso chi ha più esperienza), dicevamo prima, è il primo ingrediente, ma non mascheriamo questa bellissima parola con atteggiamenti prevaricanti e azioni mortificatorie!

 

Potremmo andare avanti ancora ma chiudiamo con un ultimo pensiero. Uscire dal ristorante significa anche rendersi conto che oggi le persone trovano meno affinità con la canonica ripartizione - antipasti, primi, secondi, dessert -; tanti si stanno abituando alla ‘cultura del piattino’, ovvero preferiscono ordinare più piatti insieme, di dimensioni contenute, e condividerli con gli altri commensali. Già solo questo è sufficiente a stravolgere le intuizioni del buon Escoffier. I tempi stanno cambiando e tutto lascia intuire che il concetto di brigata è obsoleto. Per la sala? Apriremo un capitolo a parte.

a cura di

Giulia Zampieri

Giornalista, di origini padovane ma di radici mai definite, fa parte del team di sala&cucina sin dalle prime battute. Ama scrivere di territori e persone, oltre che di cucina e vini. Si dedica alle discipline digitali, al viaggio e collabora con alcune guide di settore.
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