Come si definisce un ambiente eccellente di ristorazione? Quando il lavoratore, restaurant manager o lavapiatti che sia, riceve un adeguato stipendio, svolge un’adeguata mansione, si fa carico di adeguate responsabilità.
Pensavo a questo, nei giorni successivi alla trasmissione di Report, causa di un dibattito sugli stagisti e, più in generale, sugli aspiranti futuri cuochi che, pur di lavorare accanto ad un grande chef, sono disposti a farlo gratis.
Lo dico subito: non è giusto! Chiunque lavori ha diritto ad essere retribuito. Questo vale in ogni settore, dove la tendenza, tra praticantato negli ordini professionali o la giustificazione del fare esperienza o diventare famosi stando accanto a…, è invece il contrario.
Che futuro potrà mai avere una società dove il primo vero stipendio arriva alla soglia dei 30/35 anni di vita? Che progetti potrà mai fare un giovane per sé, per la sua futura famiglia, se deve vivere con i 400 euro di un infinito stage retribuito (a volte dopo mesi, altre volte a babbo morto).
Non è giusto, lo ripeto, che si faccia leva sul fatto che siano i ragazzi a proporsi in questa modalità, per giustificare brigate di dieci/venti persone in cucina la cui mansione passa dall’uso delle pinzette per ogni singolo ingrediente nella composizione del piatto alla celebrazione dello chef famoso di turno.
Non ci sono i soldi per pagarli? Non si prendono. I costi di gestione di un ristorante stellato sono insostenibili? Lo si declassi, senza timore di perdere clientela.
Il primo a fare questo gesto fu Tano Martini, nel 1991, che scrisse alla Michelin per far togliere la stella al suo Cigno di Mantova; un gesto coraggioso in quegli anni, per un ristorante celebrato per qualità, servizio, estetica. Ebbene, nessuno di quegli aspetti venne meno, ancor oggi resta uno dei ristoranti del cuore per chi ne varca la soglia. Il risultato di quella richiesta, per Tano Martini, fi una diversa qualità della vita, i conti che tornarono in ordine, una brigata adeguata al bisogno.
Non dico che le guide non siano necessarie (anche se sicuramente non tutte lo sono) perché rappresentano un indicazione, un indirizzo per chi viaggia, soprattutto per uno straniero, ma svolgano appunto quella funzione. E forse si ridurranno anche le emulazioni digitali, dove tutti ormai si ergono a critici e recensori.
E, altrettanto, si imparerà una corretta gestione del bilancio economico-finanziario dell’impresa ristorativa, piccola o grande che sia, che ancor oggi rappresenta il grande buco nero di questo settore. E dietro ad un bilancio corretto si svilupperà una buona organizzazione del ristorante, con i ruoli gerarchici ben definiti, con la capacità di individuare le qualità delle persone che approcciano a questo mestiere dove la passione domina su tutto.
L’equità nel trattamento economico, il rispetto per i dipendenti e la consapevolezza che esiste una vita privata a cui far fronte ogni giorno, la credibilità nel mantenere una visione con coerenza, l’orgoglio nel lavoro di squadra; questi, ci piacerebbe, che fossero i parametri di valutazione e di giudizio da parte dei recensori, professionisti e non, che si vanno ad integrare con la qualità dei piatti e del servizio.
La domanda da porsi sempre è: quando e come si diventa un ristorante diventa impresa? Quando il titolare, i suoi famigliari impegnati nella gestione, tutti i suoi dipendenti riescono a darsi uno stipendio regolare e congruo ogni mese. Altrimenti è un’altra cosa, destinata a durare poco nonostante la temporanea celebrità conferita dalle guide.
Luigi Franchi