“Leave the gun, take the cannoli”.
La famosa frase pronunciata nella saga del Padrino, fonte di diverse interpretazioni, mi aiuta a confessare una debolezza.
Si tratta di un argomento delicato e pericoloso. Ha a che fare con la linea, fisica, ma anche con la linea editoriale che un buon giornalista dovrebbe imporsi.
Perché, ricordiamolo che è sempre importante mantenerla, soprattutto per le giovani generazioni che, fuorviate da “cattivi maestri”, pensano che il giornalista dovrebbe “favorire e non distruggere”. Il giornalista deve informare, punto.
Ciò premesso, riprendo il filo del discorso spiegando la mia angoscia di uomo e giornalista di fronte ad un problema di conflitto di interessi insanabile.
Bando alla ritrosia, lo ammetto, non riesco a farne a meno, perché la brioche che fanno in quel bar è tra le migliori e la giornata, si sa, con un buon caffè, perché è ottimo anche quello, ed un cornetto di grande qualità, inizia bene. Quindi quando passo lì vicino, il richiamo della fragranza di quel lievitato è irresistibile e ci casco ogni volta.
É un problema di coscienza, di conoscenza, perché il profumo inebriante di quelle brioches, in realtà ne nasconde un altro, infatti, si dice, si mormora, si suppone che quel locale, ristorante, pizzeria o bar, potrebbe essere “in odore di mafia”.
Quindi?
Appunto...si dice, non ci sono prove evidenti, all’apparenza è un esercizio pubblico come tutti gli altri che offre cose buone, i clienti son contenti, i dipendenti hanno una lavoro, però...
Però...quante volte, nel dubbio alimentato da diversi indizi, ci domandiamo come comportarci di fronte al dilemma personale e professionale di frequentare un posto sospetto?
Non dico di parlarne o, semplicemente, di evitare di farlo, dico proprio che in assenza di azioni giudiziarie che attestino inequivocabilmente la natura degli affari loschi di una certa impresa come fa un giornalista a parlarne? Non solo per i rischi fisici connessi e conseguenti, ma anche solo perché se ne parli apertamente e non ci sono evidenze, minimo ti becchi una denuncia per diffamazione.
Quindi?
Ecco il punto sul quale ritengo che in un convegno si debba affrontare la questione, senza remore, con prudenza, certo, con chi, naturalmente, se ne occupa perché titolato, perché al servizio dell’ordine e della sicurezza dei cittadini.
L’argomento non dev’essere più un tabù, invece, anche tra gli addetti ai lavori, a parte Visintin ed in passato anche Bonilli, si finge che la Mafia non esista non capendo che anche solo per il fatto di avere in mano un locale senza l’assillo dell’investimento e dell’utile, ma solo del cassetto per ripulire il denaro, la concorrenza per chi opera legalmente è letale. Basterebbe questo motivo per affrontare il problema, ma paura ed omertà e, temo, qualche volta, collusione, impediscono ogni movimento.
Ne vogliamo parlare?
Il convegno c’è, si chiama DOOF, l’altra faccia del Food. Il 23 e 24 giugno a Milano, presso la Cascina Torrette, anche conosciuta oggi come sede del Mare Culturale Urbano, tra altri argomenti molto seri si proverà ad approfondire anche questa materia.
Intanto, io prometto di resistere alla tentazione e rinunciare a quella brioche.
Aldo Palaoro