Partiamo, per dovere d’informazione, dal concetto di frollatura: ovvero quel
processo di stagionatura, o meglio, di riposo, cui vengono sottoposte le carni per diventare idonee al consumo e per acquisire tenerezza e sapore. È risaputo che la carne, dopo l’abbattimento dell’animale, non è immediatamente edibile e che l’idoneità al consumo si raggiunge a seguito della
denaturazione proteica operata degli enzimi presenti nei tessuti carnei, che viene comunemente, appunto, definita frollatura. La denaturazione non è uguale per tutte le carni. Le variabili sono tantissime, ed è il motivo per cui i tempi di riposo variano a seconda del tipo di animale e dalla tipologia di taglio. Per fare un esempio, per i tagli di vitellone da cui si ricava la “fiorentina”, il periodo di frollatura varia dai 10 ai 20 giorni, ad una temperatura controllata in cella frigorifera di 0-4°C.
Ma veniamo ora al metodo dry aged. Si tratta di un
tecnica antica tornata da qualche tempo in gran voga soprattutto negli Stati Uniti. È complessa e costosa, ma molto apprezzata dagli addetti ai lavori.
In sostanza, si tratta di un
metodo di frollatura a secco che non prevede l’utilizzo di sacchettini sottovuoto, ma “solo” di un lungo periodo di refrigerazione ad umidità controllata. La carne frollata in dry-aging subisce
un’asciugatura superficiale e, nell’arco di 5-8 settimane, cede fino al 20% di liquidi.
Al termine di questo periodo, il prodotto si presenta tenero, marmorizzato alla perfezione, e con un aroma unico, che ricorda l’arrosto. Per la sua cottura e preparazione, generalmente il consiglio degli esperti è di affidarsi alla griglia o alla padella, con leggera salatura.
La carne, così tenera e saporita, sta avendo un
ottimo riscontro tra i cuochi e i ristoratori (a cui dedichiamo, in prevalenza,
gli articoli di questo sito), e soprattutto tra i clienti, attratti dalla bontà di queste “nuove” pietanze.
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