“Abbiamo iniziato con il prepararla per noi per poi estendere l’assaggio ai clienti. - racconta Fulvia - Il particolare apprezzamento ci ha convinto a realizzare una piccola produzione, artigianalissima, dove però abbiamo voluto curare ogni particolare”.
“Nonna Ermelinda, già un mese prima del Natale, preparava - ricorda Fulvia - un ripieno fatto di noci, pinoli, miele, uvetta, scorzette e altri ingredienti molto natalizi e lo lasciava a riposo. Tutte le sera lo portava in cucina, lo poneva in una zona calda e, a turno, ci chiedeva di mescolarlo, perché gli ingredienti si amalgamassero bene fra loro. A distanza di tanti anni ripetiamo anche noi questo rituale, che contempla, nei passaggi successivi alla cura del ripieno, il tirare un disco di pasta non lievitata talmente sottile che sembra un’ostia, riporlo in una piccola teglia (16 cm di diametro) e forarlo con una forchetta, riempirlo con un generoso strato di ripieno e rivestire con un altro disco di pasta, anche questo forato e leggermente pressato. Noi abbiamo l’abitudine di personalizzarla con un timbro circolare. Una volta cotta la lasciamo stabilizzare per un giorno e la ricopriamo di zucchero a velo che facciamo ben aderire alla superficie in modo che esca il disegno del timbro”.
Un lavoro certosino a cui applicarsi senza soluzione di continuità, guarda caso nel giorno di chiusura del ristorante. Dicevamo una produzione ridotta, che quest’anno non ha superato i 300 pezzi ma, come si dice, fatta con tanta cura, per non dire con amore, se è vero come ha voluto far stampare Fulvia sulla confezione, che per lei ha sempre rappresentato “il vero dolce di Natale”: non era altrettanto golosa di panettone. In effetti ci troviamo di fronte a un dolce di una fragranza ed equilibrio straordinari, dove una fetta tira l’altra senza che quasi ci se ne accorga. Ognuno ha la sua personale classifica delle cose liffe che si troveranno in Paradiso: questa ha certamente una buona candidatura!
Affondo nella storia
Ma dove affonda le proprie origini la spongata, più diffusa di quanto non si pensi lungo una geografia di luoghi che tocca addirittura più regioni? Qual è il nesso fra Brescello, Busseto, Piacenza, Borgotaro, Pontremoli, Sarzana, Seborga, Fivizzano, Fanano, Corniglio, Berceto, Cassio? E perché il nome spongata?
Sono alcune delle domande che si è posta Laura Zilocchi, appassionata studiosa di tradizioni gastronomiche locali e autrice di diverse pubblicazioni, scandagliando con grande meticolosità archivi civili e monastici per ben cinque anni e raccogliendo un’infinità di autorevoli testimonianze. Abbiamo scorso con piacere la ricerca in cui si interroga sulle convinzioni diffuse andando a cercare le risposte via via nella storia. Dalle sue ricerche emerge che bisogna correre molto indietro fino a Carlo Magno, per scoprire che nel 794 nel Concilio di Francoforte impose a tutti i monasteri benedettini di offrire “unam tortam” o “pain d’hostelage” (cioè torta o pane di accoglienza) agli ospiti, ai pellegrini e ai visitatori durante le festività natalizie.