Forse ha ragione Hans Magnus Enzensberg, il matematico tedesco, quando nel suo ultimo saggio descrive i burocrati europei come “persone il cui scopo nella vita è spegnere nei cittadini ogni senso civico, ogni traccia di autonomia”, raccontando “le norme in cui si va dalla ‘curvatura massima (dieci millimetri su dieci centimetri)’ dei cetrioli, alla lunghezza dei preservativi (‘non meno di cento millimetri’), per arrivare alle 36 regole per stabilire i colori di fagioli, cavoli e meloni.”
E forse si sono ispirati a questi burocrati i tanti estensori di capitolati pubblici per la fornitura di prodotti biologici per la ristorazione collettiva quando scrivono che la fornitura del prosciutto cotto deve avere una stagionatura di almeno 24 mesi (sic) o che le zucchine devono essere tutte di 18 cm (doppio sic) per finire con la richiesta di solo cosce di pollo “perché i bambini riescono a tenerlo correttamente in mano”. E il resto del pollo? Oppure i restanti 22 tagli di carne bovina, visto ce il capitolato ne chiede solo tre? Forse che i bambini muoiono se mangiano anche la sovra coscia del pollo?
Queste e altre perle sono uscite, con un forte grido d’allarme, dal convegno dal titolo - BIOLOGICO E RISTORAZIONE COLLETTIVA. UN CAPITOLATO A REGOLA D’ARTE - che è risultato vagamente ironico visti i contenuti del dibattito.
Una mancanza di buon senso nella filiera della ristorazione collettiva, potrebbe essere il primo pensiero quando emerge che in Italia ci sono ben 16 linee guida tra ristorazione scolastica e collettiva. O quando non si tiene conto, nei capitolati definiti “copia e incolla”, della ridotta dimensione delle aziende biologiche, 41.807 agricoltori per 1.113.742 ettari, e vengono richiesti prodotti che non tengono conto di nessuna programmazione o stagionalità.
“Occorre programmazione e una corretta strutturazione delle attività, oltre alla formazione del personale. – afferma Antonio Giovannetti, direttore acquisti del gruppo CAMST – Non è pensabile che, per far fronte ad un capitolato di una scuola si debba girare l’Italia per raggranellare i quantitativi necessari. Occorre partire dal costo e su quello costruire insieme, tutti i componenti della filiera i capitolati”.
“Programmando il reperimento delle materie prime si può generare quel risparmio che porterebbe il biologico quasi al pari, in termini di costi, al convenzionale. – ribatte Paolo Pari, direttore marketing di Apofruit – Ma sempre in una logica di buon senso. Non come accade per la campagna Frutta nelle scuole, dove un’iniziativa lodevole rischia di diventare, sempre per colpa di meccanismi burocratici, controproducente. Non si possono distribuire cestini da 250 grammi di frutta a bambino!”
L’invito è stato raccolto dal presidente di Federbio, Paolo Carnemolla, a cui spettava il compito di moderare il convegno in svolgimento a SANA che, anche sulla base del positivo modello dello sportello Bio per le mense della Regione Emilia Romagna, si è impegnato a farsi promotore di un tavolo di confronto tra i produttori, le aziende di ristorazione collettiva e le istituzioni, come l’associazione Città del Bio. Non dimenticatevi dei grossisti - distributori, in questo tavolo, che possono fornire un prezioso contributo su tutti gli aspetti logistici della filiera.
Se il convegno sulla ristorazione collettiva ha raggiunto vette di ilarità (per non piangere) nelle descrizioni dei capitolati, non da meno è stato l’altro riguardante il biologico e la ristorazione commerciale in cui si poteva cambiare il titolo “IL BIO FUORI CASA. A TU PER TU CON LA NUOVA NORMA” con quest’altro: La difficile vita di un dirigente del ministero.
Infatti in apertura di convegno Giusi Iamarino, dirigente del MIPAAF, ha esordito dicendo che “della norma che dovrebbe regolamentare l’attività di ristorazione commerciale con prodotti biologici non esiste più neppure la bozza, ma sono rimasti i pilastri”. Da quel momento è iniziato un dibattito talmente surreale da tenere inchiodati alla sedia i presenti al convegno.
Occorre sapere, cito dal testo di presentazione del convegno, “che il regolamento CE n.834/2007 non prende in considerazione le attività di ristorazione collettiva e commerciale con prodotti biologici e consente agli Stati membri di adottare norme nazionali. La crescita della domanda ha visto il parallelo aumento del numero di locali che offrono prodotti biologici, ma le potenzialità di sviluppo del settore nei pasti fuori casa sono enormi. E' necessario un quadro normativo snello e praticabile che sia nel contempo in grado di assicurare la massima garanzia ai consumatori e la trasparenza del mercato”.
Le posizioni a confronto, moderate con intelligenza e ironia da Rossella De Stefano giornalista del gruppo 24ore, erano quelle del Ministero (Giusi Iamarino), Federbio (Roberto Pagliuca), Fiepet - Confesercenti (Esmeralda Giampaoli), Fipe (Marcello Fiore), Ordine tecnologi alimentari (Massimo Giubilesi).
Per tutto il tempo si è andati avanti sulla base di incomprensioni e posizioni distanti anni luce su una norma che, in quella sede, non esisteva, non veniva portata in luce. Ma perché fare convegni di questo tipo? O meglio perché, visto che la norma nazionale deve stare nei paletti imposti dal regolamento comunitario, non guardare cosa fanno gli altri paesi e dimostrare, per una volta almeno, che siamo a pieno titolo in grado di essere cittadini europei?
L’affermazione più saggia è venuta da Massimo Giubilesi quando ha auspicato che l’Italia si doti di un Testo Unico per gli alimenti. Almeno le sedici linee guida diventeranno una chiara e definita.
Luigi Franchi