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Le filiere alimentari sono sempre accompagnate dalla buona fede?

14/03/2025

Il titolo di questo articolo è volutamente provocatorio, ma di certo solleva un dubbio cruciale sul percorso che gli alimenti seguono lungo la filiera alimentare. Il processo che porta un prodotto alimentare dal produttore al consumatore finale è articolato e composto da molteplici fasi, ognuna delle quali può essere soggetta a pratiche scorrette. A tale proposito, voglio riportare un episodio che mette in luce un comportamento scorretto e fraudolento all’interno di una filiera alimentare, con ripercussioni dirette sulla buona fede di alcuni soggetti professionali in esso coinvolti.

Un caso giudiziario ha visto l'amministratore, la segretaria e il magazziniere di una società condannati in tutti i gradi di giudizio per tentata truffa. L’accusa riguardava la miscelazione fraudolenta di mangimi destinati all’alimentazione bovina, ai quali venivano aggiunti prodotti di qualità inferiore, come mangime per ovini, mangime per vitelli e prodotti generici (ad esempio, farina di mais).  

L’obiettivo di questa operazione era chiaro: ridurre i costi a discapito della qualità del prodotto venduto ai clienti. Il modus operandi della società era strutturato in modo da rendere difficile, se non impossibile, l’individuazione della frode da parte degli acquirenti. Infatti, a parità di prodotto ordinato dai vari acquirenti, la quantità delle sostanze estranee miscelate variava in funzione della attenzione e pignoleria del cliente: più era scrupoloso il compratore, minore era la quantità di sostanze non conformi aggiunte; al contrario, nei confronti di clienti meno attenti, la percentuale di tali sostanze aumentava.

Se la responsabilità dell’amministratore della società in questione è stata facile da dimostrare, quella degli altri due imputati (ossia, la segretaria e il magazziniere) è stata oggetto di valutazioni più complesse. Infatti, sebbene entrambi tali soggetti avessero materialmente eseguito operazioni legate alla frode (la segretaria inviando i fax relativi alle miscelazioni dei prodotti e il magazziniere effettuando materialmente la miscelazione stessa), non è stata tuttavia provata in modo inequivocabile la loro consapevolezza dell'attività fraudolenta orchestrata dal loro datore di lavoro. La Corte di merito, nel valutare la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, ha testualmente affermato che nulla è stato dedotto dalla difesa per dimostrare che costoro non fossero consapevoli del piano ordito dall'amministratore.

Quanto alla sussistenza dell'aggravante, la Giurisprudenza ha avuto modo di affermare ripetutamente che la nozione di abuso di relazione di prestazione d'opera, si applica a tutti i rapporti giuridici che comportano l'obbligo di un “facere”, bastando che tra le parti vi sia un rapporto di fiducia che agevoli la commissione del reato, a nulla rilevando la sussistenza di un vincolo di subordinazione o di dipendenza. Nel caso di specie, l'abuso è stato reso possibile dal fatto che il mangime era preparato lontano dagli occhi del cliente e quindi era possibile per il fornitore tradire la fiducia del cliente componendo il mangime in modo differente dall'ordinativo.

Inoltre, la reiterazione del comportamento e delle sue modalità esecutive non lascia dubbi sull'intento truffaldino dell'autore del reato.

Questo caso evidenzia quanto sia fondamentale garantire trasparenza e correttezza lungo tutta la filiera alimentare. Le pratiche scorrette non solo danneggiano economicamente i clienti, ma mettono anche a rischio la fiducia nei confronti dell’intero settore. Per questo motivo, è essenziale adottare sistemi di controllo rigorosi e promuovere una cultura dell’integrità e della legalità nel comparto alimentare.



Francesco Perrotta

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