Siamo consapevoli, un po’ di più, dopo la pandemia, che è assolutamente
necessario un nuovo modello di sviluppo, in tutti i settori, ma
nell’agroalimentare ancora di più: parlare di sostenibilità, dopo la pandemia,
è importante, indispensabile, proprio per il fatto che questa disgrazia non è
capitata per caso ma è il frutto anche di una corsa troppo accelerata verso
modelli di vita e di consumo che danneggiano irreversibilmente il pianeta.
In Italia abbiamo la fortuna di possedere una biodiversità straordinaria e di avere
aziende, anche nell’industria alimentare e non solo nell’agricoltura, che
mettono la salute delle persone davanti a tutto. Lo abbiamo capito molto
bene, per tanti aspetti, piccoli e grandi: dai negozi di quartiere che
portavano a casa gli alimenti alle aziende che non hanno mai smesso di lavorare
per offrire cibo mettendo, prima di tutto, in sicurezza le persone addette ai
cicli produttivi.
La consapevolezza che l’Italia è un importante produttore alimentare ha avuto
un’eco maggiore tra le persone, riducendo, a parte le prime ore del lockdown
dove tutti eravamo attoniti, l’assalto ai negozi e ai supermercati. Questo e
altro ha portato le persone ad avere un rapporto diverso con il cibo; lo si
vede anche ora tra i menu dei ristoranti, nelle scelte che si fanno nel
consumo fuori casa, dove i ristoranti che hanno ridotto l’offerta ragionando su
stagionalità e prodotti sostenibili sono quelli che hanno il maggior flusso di
persone.
Forse si sta affermando una cultura del cibo, come racconta in
un’intervista, Fabio Renzi, segretario generale di Symbola,
fondazione che da anni si occupa di promuovere la qualità italiana: “L’Italia
ha la qualità nel suo patrimonio genetico per tutta una serie di ragioni
storiche: le radici del Made in Italy affondano nella tradizione dei liberi
comuni, in quel momento tra feudalesimo e modernità in cui si consuma il
passaggio dall’economia dei bisogni a quella dei desideri e della
rappresentazione. Oggi si tende a recuperare un concetto di economia legata
anche ai valori culturali e sociali, da cui la qualità non è scissa né
indipendente. Oggi la qualità viene dalla sostenibilità ambientale, dalla
responsabilità sociale e dalla creatività, e in questo le aziende più virtuose
sono anche quelle più forti”.