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Georgia Gilmore, la cuoca della liberazione

30/04/2025

Georgia Gilmore, la cuoca della liberazione

Il 5 dicembre 1955, a Montgomery, Alabama, migliaia di cittadini afroamericani iniziarono un boicottaggio contro il sistema dei trasporti pubblici, in risposta al celebre arresto di Rosa Parks, una sarta afroamericana che cinque giorni prima si era rifiutata di cedere il suo posto a un passeggero bianco su un autobus di linea, come prevedevano le leggi segregazioniste dell’epoca. Il suo gesto diede il via al Montgomery Bus Boycott, una protesta di massa che durò 381 giorni e che avrebbe cambiato il corso della storia americana. Organizzata in modo capillare, la protesta mise in crisi l'intera rete cittadina di autobus e fu uno dei primi esempi di mobilitazione collettiva su larga scala nel movimento per i diritti civili. 

La fine della segregazione afroamericana è stata resa possibile grazie a molte azioni di questo tipo, ma dietro ad ognuna di queste era presente un intero ecosistema, meno visibile, in grado di farle funzionare: la resistenza partiva dalle case private, dalle chiese, e perché no, anche dalle cucine. Gli spazi domestici, spesso considerati “femminili”, divennero centri nevralgici di organizzazione e sostegno alle azioni di protesta. È proprio in questo contesto che emerse la figura di Georgia Gilmore.

Georgia Gilmore, la cuoca della liberazione

Nata il 5 febbraio 1920 a Montgomery, Gilmore era cresciuta in una famiglia numerosa. Se da piccola visse in una piccola fattoria dove si occupava di maiali, mucche e polli, da adulta iniziò a lavorare come cuoca alla National Lunch Company. Quando il famoso boicottaggio iniziò, Gilmore decise di sostenere attivamente la causa, dando vita al “Club From Nowhere”, un gruppo clandestino di donne afroamericane che cucinavano e vendevano dolci, panini e piatti fritti per raccogliere fondi destinati a finanziare avvocati, sostenere le famiglie colpite da ritorsioni e mantenere in funzione un sistema di car pooling alternativo con oltre 300 automobili. Il nome così misterioso del club serviva a proteggere l'identità delle donne coinvolte, molte delle quali rischiavano di perdere il lavoro se fossero state scoperte, come peraltro era già successo alla stessa Gilmore. 

Dopo la fine del boicottaggio, Gilmore decise di aprire una tavola calda nella propria casa. Il locale divenne rapidamente un punto d’incontro informale per attivisti, leader del movimento black e sostenitori, compreso Martin Luther King Jr., che si dice ne decantò in più occasioni il cibo. La cucina di Gilmore era infatti molto apprezzata per la sua genuinità. Tra i piatti più noti c’erano molti classici del Soul food, come il pollo fritto, le cotolette di maiale ripiene, verdure come il cavolo nero stufato, pane di mais, insalata di patate, sweet potato pie e pound cake. 

Georgia Gilmore, la cuoca della liberazione

Senza una strategia mediatica né l’ambizione di farsi conoscere al di fuori della sua comunità, Georgia Gilmore contribuì a rafforzare il legame tra soul food e cultura afroamericana, rendendo la cucina uno spazio di cura, resistenza e affermazione identitaria. Oggi si parla di “gastrodiplomazia” per descrivere l’uso del cibo come strumento politico e culturale. Senza sapere di anticipare un concetto che sarebbe arrivato decenni dopo, Gilmore dimostrò come cucinare potesse diventare rilevante per il cambiamento della società. La sua storia ci ricorda che la resistenza non si fa solo nelle piazze o nei tribunali, ma anche attorno a un tavolo, con un piatto caldo condiviso tra chi sogna un futuro diverso.

Georgia Gilmore, la cuoca della liberazione
a cura di

Federico Panetta

Varesotto di origine, è come una biglia nel flipper dell'enogastronomia. Dopo la formazione alberghiera lavora in cucina e si laurea in Scienze Gastronomiche presso l’Università di Parma. Oggi si occupa di comunicazione gastronomica collaborando con diverse riviste di settore.
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