Cerca

Premi INVIO per cercare o ESC per uscire

I racconti di alcuni clienti di ristoranti, ora che hanno riaperto

07/06/2020

I racconti di alcuni clienti di ristoranti, ora che hanno riaperto

Diminuisce
il numero di coloro che vedono nella paura del contagio un deterrente a
mangiare al ristorante: le
notizie sono incoraggianti ma la gente vuole certezze e per tutti, e soprattutto, valgono
cura e cortesia, cautela, oculatezza, razionalità e tanta pazienza.   

Non sono i critici gastronomici, non
sono i foodie o gli influencer a fare la differenza ma i clienti
: se volessimo fare una riflessione
sull’apertura delle attività di ristorazione in Italia dopo la pausa provocata
dall’emergenza Coronavirus, dovremmo ricordarci innanzi tutto che il ristorante
non è un’entità che vive di vita propria ma è un luogo che per sua natura ha bisogno delle persone per esistere. Inoltre,
il panorama è vasto e accanto ai
ristoranti blasonati esiste una moltitudine di locali per tutti, e sono la
maggioranza.

Se la
clientela, per qualsiasi motivo, manca, mancano le premesse e il ristorante non
funziona. Dai numerosi sondaggi realizzati emerge che un terzo degli italiani ha utilizzato il delivery molto più che in
passato e due terzi nutre fiducia nelle misure
precauzionali messe in atto dai ristoratori.
Le
premesse sono positive ma la domanda che tutti i ristoratori, i
gestori di bar, pasticcerie o locali di intrattenimento, si fanno è: “La gente verrà? I clienti, avranno voglia
di uscire di casa e di entrare nel nostro locale?”.

Un evento
drammatico porta con sé a livello umano incertezza e timori e l’atteggiamento
che tutti, professionisti dell’ospitalità o gente comune, siamo chiamati ad
adottare è la pazienza nel significato più profondo del termine: la facoltà umana di
rimandare la propria reazione alle avversità, mantenendo nei confronti dello
stimolo un atteggiamento neutro.

L’Italia,
Paese dalle mille facce, diversa come territorio, abitudini e carattere si è
rivelata, in questo tragico frangente, disomogenea nella diffusione del virus e
sul modo di combatterlo. Ci sono luoghi in Italia dove la ripresa sarà più
dolce, altri dove la pazienza dovrà essere esercitata con maggiore
determinazione.

Così,
mentre impazzano le critiche e i sentimenti contrastanti verso chi si concede
una distrazione – vedi polemiche sulla movida, reali o faziose – mentre gli
scienziati si dibattono a suon di teorie o ricerche, un’analisi condotta da The
Fork alla fine di maggio su un campione di oltre 13.000 utenti
dell’applicazione rivela che il 77%
pensa di ricominciare ad andare al ristorante entro il 22 giugno.
Cala il
numero di coloro che vedono nella paura del contagio un deterrente e le preferenze vanno a quei locali che
possono offrire spazi all’aperto, sistemi digitali di prenotazione e pagamento
e che comunicano affidabilità e rispetto delle norme di sicurezza
.

Insomma,
la voglia di ripartire c’è ma c’è anche il coraggio di farlo? Tornando alla
domanda iniziale, la
risposta sembra essere sì.

Per
esempio, l’Umbria si annuncia come un luogo dove la speranza e l’ottimismo
dominano i comportamenti. Lì, il problema ha solo sfiorato la popolazione che
dopo aver obbedito scrupolosamente alle limitazioni ora accoglie con
entusiasmo, ma in buon ordine, le iniziative che si presentano. Lo scorso 2
giugno, il borgo di Montefalco (PG) è
stato teatro di uno spettacolare ristorante
a cielo aperto
: una quindicina di ristoranti hanno allestito i tavoli in
piazza, ben distanziati, e hanno accolto tutti insieme i clienti, circa 700,
giunti da tutta l’Umbria, in
un clima di grande serenità e rispetto.

Ma l’Italia,
abbiamo detto, è vasta e disomogenea. È evidente come certe zone sembrino
favorite dalla loro condizione e altre penalizzate. Come si comporta, o come pensa di comportarsi il cittadino, da Nord a
Sud?
Basta chiedere! Dalle conversazioni sono emersi spunti meritevoli di
riflessione: va tutto bene e la voglia
di ricominciare è tangibile
ma ci
vuole pazienza e perseveranza perché l’equilibrio è incerto, la gente è
fragile.

Ripartire
dall’accoglienza, il cliente è una risorsa

Cominciamo
il nostro giro di opinioni da Bolzano,
prima città italiana a passare alla fase 2, ben due settimane prima degli
altri.

“Qui
in Alto Adige siamo naturalmente disciplinati – racconta Ornella B., titolare di un centro estetico e di massaggia Bolzano – e la popolazione si
attiene alle disposizioni, senza discussioni. È vero che non abbiamo avuto una
diffusione massiccia come in altre regioni, ma il virus ha toccato anche la
nostra gente e un po’ di paura c’è stata. La ripresa della vita normale, però,
si sta svolgendo molto serenamente tanto che dopo il primo momento anche lo
svolgimento delle attività lavorative ha ricominciato a scorrere riconquistando
poco a poco la sua efficienza. Resta l’incognita del turismo, ma si vedrà. Durante
il lockdown siamo rimasti in casa e la prima volta che siamo usciti ci siamo
concessi, timidamente, una pizza in famiglia. In un locale allestito con sei
tavoli, solo tre erano occupati; nessun tipo di limitazione a parte la pulizia
delle mani all’ingresso e la mascherina ed essendo un nucleo familiare di quattro
persone eravamo seduti ai quattro lati dello stesso tavolo ma ben distanziati. Non
è stato necessario dichiarare i propri dati personali e abbiamo gustato
un’ottima pizza in serenità. Il punto dolente è stato l’attesa di quasi un’ora,
perché il locale dava la precedenza all’asporto. È comprensibile, delivery e asporto
in questi mesi hanno costituito la salvezza per loro, però credo che adesso
sarebbe meglio prestare maggiore
attenzione al cliente che si siede in sala
, se veramente si vuole incrementare l’affluenza e riappropriarsi
della quotidianità.
L’evidente pulizia e accuratezza del servizio sono
certamente un punto a favore ma avremmo gradito un’accoglienza che oltre la
gentilezza offrisse efficienza, un piccolo sforzo in più per incoraggiare anche
chi ancora ha qualche titubanza e invitarlo a tornare”.

Buona
volontà, dunque, ma pazienza messa a dura prova.

Milano
aspira alla qualità e apprezza la consuetudine

Milano
è la città che più di tutte, insieme a Bergamo, ha sofferto e pianto in questi tre
mesi. A Milano la ripresa, seppure
difficile, sarà possibile grazie alle sue risorse umane e materiali. I media
hanno sbandierato la movida sui Navigli, i milanesi sprezzanti della sicurezza:
non è tutta così. A fronte di qualche incosciente assembramento, fenomeno
verificatosi ovunque, il cittadino comune si è comportato finora in maniera
impeccabile, ha rispettato i divieti e adesso ha voglia di uscire e
socializzare ma cerca il modo di farlo con consapevolezza e responsabilità, in
sicurezza,

I racconti di alcuni clienti di ristoranti, ora che hanno riaperto

Nella
città della moda, Dario R. è un
fotografo di moda e per lavoro o per piacere, per stile di vita, prima cenava al
ristorante almeno quattro giorni su sette. Oggi, ricomincia con cautela a
percorrere i luoghi e le abitudini di sempre: “Qualcuno dei miei clienti sta
ricominciando a organizzare eventi di persona perché l’attività online non è sufficiente per andare avanti e bisogna
riprendere la routine
. Allo stesso modo in cui Milano si riappropria
lentamente del suo ritmo quotidiano, anche noi cerchiamo di uscire dal guscio
che ci eravamo costruiti intorno. Finora sono stato in due ristoranti, uno italiano
classico e uno etnico, per incontrare gli amici che non vedevo da tre mesi. La
prima impressione in entrambi i casi è stata un senso di relax e mi ha fatto
riflettere: se prima nello stesso locale ci stavano 100 persone e la sensazione
era di frastuono e confusione, adesso che di persone ce ne stanno 50 è molto
meglio. Prima, era davvero indispensabile riempire il locale con un turn over
frenetico? A partire da Expo, Milano ha imparato a gestire la ristorazione lungo tutto l’arco della giornata; questo
dà la possibilità di raggiungere la quota di incassi voluta senza concentrare
il servizio in maniera convulsa. Io, spero che continui così: meno locali ma organizzati meglio per
accogliere tutti a tutte le ore
. A Milano ci sono abbastanza avventori, bisogna
solo saper gestire il movimento dei pranzi di lavoro e delle pause con un
sistema sia funzionale sia accogliente. Non ho paura a entrare in un ristorante
di Milano così come non ho mai avuto paura a servirmi del delivery o
dell’asporto e nemmeno, come tanti, di entrare in un ristorante etnico
sconosciuto. Se vogliamo ripartire dobbiamo avere coraggio, che non vuol dire
essere incoscienti ma comportarsi in maniera responsabile. Niente panico, mi
sento di dire, e non mi infastidiscono né le misure di sicurezza né le
limitazioni se affrontate consapevolmente. Sono certo che quest’esperienza
porterà a maggiore cortesia, accoglienza e generosità: il cliente non sarà più
scontato, sarà un ospite gradito. Già adesso si vedono i frutti: non si vede il
sorriso sotto la mascherina ma si intuisce dagli occhi; è la felicità di aver
riconquistato il cliente, è bello così”.

Il
milanese, dunque, ha imparato ad avere pazienza
anche nel divertimento e nella socializzazione
, si scopre oculato nelle scelte, riservato nelle
esternazioni
.

Come Manuela e Antonio, educatrice lei,
digital artist lui, tanti amici e il bar
del cuore
: “Prima uscivamo spesso a cena con gli amici per una pizza oppure
nel weekend per una tavolata in agriturismo. Ci piaceva sperimentare e cambiare
ma abbiamo sempre avuto anche un ritrovo fisso e lì siamo tornati a fare
l’aperitivo per trascorrere un paio d’ore spensierate dopo il lavoro, il sabato
sera. Per il momento ci accontentiamo, ci sarà tempo per altre esperienze che
in questo momento non ci sembrano importanti, quello che conta è ritrovarci con
gli amici e stare bene insieme. Per questo siamo
tornati al solito bar, dove ci riuniamo d’abitudine e dove conosciamo il
gestore e i clienti, perché il luogo stesso ci dà tranquillità, serenità, ci
sentiamo come a casa.
La prima volta c’era un po’ d’imbarazzo, ci si
salutava timidamente e il proprietario del locale ci ricordava le regole in
continuazione, poi poco a poco ci siamo sciolti e adesso ogni volta ci
ritroviamo con piacere pur mantenendo un certo riserbo che non è dovuto alla
paura, è dovuto al rispetto per gli
altri
. Non proviamo ancora il desiderio di andare in locali che non conosciamo,
inoltre il proprietario del bar è un amico di lunga data e lo aiutiamo
volentieri a riprendere l’attività. Infine, non dimentichiamoci che tutti abbiamo
passato un periodo di incertezza economica tra cassa integrazione e rallentamento
delle attività e anche se adesso la situazione si è normalizzata non ci sembra opportuno spendere
liberamente i nostri soldi
. In tutta coscienza, per il ristorante ci sarà
tempo, adesso ci basta un aperitivo”.

I racconti di alcuni clienti di ristoranti, ora che hanno riaperto

Roma
tra fermento e crisi

Città
turistica da un lato, capitale d’Italia dall’alto, Roma è città di grandi flussi e differenti abitudini, in costante movimento
tra locali storici e nuove aperture. Stefania
C.
è dirigente del Ministero Economia e Finanze e almeno una volta a
settimana era solita incontrare gli amici al ristorante. È una cliente abituale
dei migliori ritrovi e ama sperimentare ma ora è molto cauta e un po’ perplessa
riguardo agli sviluppi della situazione che a Roma si presenta disomogenea; per
tornare alla normalità, Stefania
pretende che le regole siano rispettate scrupolosamente, sulla sicurezza non
transige
: “Ho avuto poche esperienze in questo periodo, solo due volte
sono uscita per incontrare gli amici e una volta per lavoro e ho avuto tre
esperienze molto diverse. Il ristorante dove mi sono sentita perfettamente a
mio agio è stato un famoso locale vegetariano di via Margutta dove avevamo
organizzato una piccola riunione e siamo stati accolti in maniera encomiabile,
l’allestimento della sala era molto scrupoloso nel rispetto del distanziamento –
su grandi tavoli che prima ospitavano otto persone, ora ce ne stavano quattro -
e il servizio impeccabile, come sempre, e oltre alla nostra comitiva c’erano
altre persone in sala: insomma, un’ottima impressione. In precedenza ero tornata
nel ristorante vicino all’ufficio per pranzare con un collega e lì la
situazione era molto diversa: su minuscoli tavolini all’aperto probabilmente
concepiti per coppie di congiunti, dove era impossibile mantenere la distanza
tanto che abbiamo dovuto accostarne un altro per mangiare insieme ma in
sicurezza, ci hanno servito il pranzo di sempre ma scontato del 30%, un chiaro
segnale di crisi purtroppo. Ma l’esperienza più negativa l’ho avuta nel
nuovissimo ristorante di un cuoco famoso dove pretendevano di farci cenare, in cinque,
su tre tavolini separati da due barriere di plexiglass. Una situazione orribile
proposta in maniera scortese, tanto che ce ne siamo andate. La socializzazione è uno degli elementi
fondamentali
per gustare una cena in compagnia, l’ospitalità non può
mancare di questi presupposti. La
sensibilità e la responsabilità del gestore, sempre importanti, in questo
frangente diventano fondamentali.
A Roma, la gente esce volentieri,
comunque, tanto che con alcune amiche abbiamo cercato di prenotare la cena nel
nuovo ristorante all’interno del museo Maxxi, dotato di uno splendido giardino,
ed era tutto esaurito. Mi pare un segnale incoraggiante”.

I racconti di alcuni clienti di ristoranti, ora che hanno riaperto

Arriva
l’estate, il Salento si risveglia

Scendiamo
la penisola, arriviamo a Lecce. Le
parole di una collega giornalista mi aprono uno scenario non completamente dissimile
dai precedenti, forse più rilassato.

“Prima
dell’emergenza, cenavo fuori casa almeno un paio di volte alla settimana –
racconta Roberta G.  Ho uno stile di vita piuttosto attivo e tra il
lavoro per la redazione, il mio compagno Luca e la famiglia allargata composta
di bambini, cani e gatti resta poco tempo libero. In questo periodo di smart
working il ritmo è cambiato e la nostra salvezza
è stato il delivery che prima quasi non esisteva in Salento e ora è esploso
come fenomeno
molto gettonato. Da queste parti, lungo l’asse Lecce-Ostuni,
le distanze sono minime, si esce volentieri, si passeggia e di solito nessuno
ordina il pranzo ma semplicemente va al ristorante; non c’è l’abitudine di
portarsi il pranzo a casa ma ci si siede e si consuma con calma. Prima,
piattaforme come Just Eat o Deliveroo non esistevano quasi per niente, ora
lavorano tantissimo. Qualche locale si era organizzato di persona ma la
piattaforma garantiva puntualità nella consegna, cosa che i singoli non
riuscivano a fare. C’è molta voglia di uscire, complice anche la bella stagione,
abbiamo cominciato a frequentare nuovamente i soliti posti – per esempio il pub
birreria vicino a casa - perché non dimentichiamo che qui la situazione è molto
tranquilla, non ci sono stati contagi da settimane. La prima impressione è
stata favorevole: a parte gel e mascherine e un numero diminuito di coperti non
abbiamo notato alcun motivo di apprensione né da parte nostra né di altri,
nessun cambiamento sostanziale e la gente è serena; inoltre, qui da noi quasi tutti
i locali dispongono di ampi dehors e questo aiuta. Qualcuno chiede le
generalità all’ingresso, a noi non è capitato. Certo fa un po’ tristezza vedere
che alle 22 piazza Sant’Oronzo a Lecce, il cuore della città, è praticamente
deserta e i locali chiudono per rispetto dell’ordinanza. Per noi è prestissimo,
le nostre abitudini sono più notturne. Vedremo come ci comporteremo con
l’estate in arrivo: per i salentini il
mare è linfa vitale, non possiamo rinunciare ad andare al lido e i lidi sono
sempre molto affollati
. C’è tanta voglia di ripresa, e lo stiamo facendo,
con cautela ma senza paranoie. Siamo positivi, è la nostra natura”.

Credo che le parole di Roberta esprimano nel miglior modo possibile il sentimento di tutti: tornerà la normalità, torneremo a cenare al ristorante, è la nostra natura…ma senza fretta.

Marina Caccialanza

Condividi