O questi annunci son forse rivolti a certa cucina “stellata”, che aspira alle stelle o a conservarle, croci e delizie incluse? In base a cosa? Aperture e chiusure che sono endemiche, al fatto che alla media degli italiani s’è ristretto il portafogli o a una cucina che a forza di cercare di innovarsi corre il rischio di rifare il verso a sé stessa?
A Bassini preme ricordarci che non è dello chef “il fin la meraviglia”, elencando fatti e misfatti di un perverso gioco a stupire i clienti, anche su sollecitazione di una corte di vestali convinte d’esser loro il vento, non semplici maniche a vento.
Ecco allora dove finisce per arenarsi la sua lettura di certi menu “talentuosi”: agnello crudo con le ostriche, piselli ripieni, tacchino tonnato, aria di zuppa inglese, insalata che vaga nel bosco, spume e dripping, abusi sifonati, sottovuoto a bassa temperatura ostentato a marchio di cucina innovativa supportata da food engineering, neuromarketing…
Ma chi è rimasto in cucina e chi s’illude d’essere in teatro?
Non sarà tutto oro quel che sbrilluccica, ma ecco che in queste godibili pagine, il nostro, che fra l’altro è anche autore del magistrale racconto gastronomico della ristorazione bolognese di ieri e di oggi “Qui era tutta lasagna” (Minerva), trova il modo di celebrare i meriti dovuti.
Così onora la grande lezione di libertà, coraggio e apertura mentale di Ferran Adrià, stigmatizzando la legione dei suoi mediocri imitatori che finiscono per trasformare la buona cucina in una parodia di sé stessa. Poi si dedica al suo pantheon personale che annovera una generazione di fenomeni: Nino Bergese, chiamato con geniale intuito da Gianluigi Morini a far alzare in volo il San Domenico affiancandogli il giovane Valentino Marcattilii che imparò presto a volare da solo e che a sua volta aprì la pista al nipote Massimiliano Mascia. E poi Franco Colombani (il Sole di Maleo), Antonio e Nadia Santini (Dal Pescatore, Canneto sull’Oglio), Romano e Franca Franceschini (Romano, Viareggio). Menzione cum laude al “Signor” Gualtiero Marchesi, così come l’hanno sempre chiamato i suoi discepoli, lui che fu fra i pochi a saper essere Maestro, capace di trasformare le sue cucine in impareggiabili scuole da cui sono usciti Enrico Crippa, Carlo Cracco, Davide Oldani, Ernst Knam, Paolo Lopriore, Andrea Berton, Vincenzo Cammerucci, Pietro Leeman, e quanti altri.
Andando avanti nella lettura s’incrociano Vissani, Pierangelini, Ezio Santin, Paracucchi, l’Enoteca Pinchiorri, la famiglia Iaccarino, e poi la spartana trattoria-osteria-bottega di campagna di Peppino e Mirella Cantarelli a Samboseto, nella bassa parmense, e Cesare Giaccone nelle Langhe, “un Ligabue della cucina”. Altro mito irripetibile il Trigabalo di Argenta con lo squadrone composto da Giacinto Rossetti, Igles Corelli, Bruno Barbieri, Marcello e Gianluca Leoni, Mauro Gualandi, Italo Bassi, Pier Luigi Di Diego, Marco Merighi.