Quattro uomini capaci di incidere su un destino
Un atteggiamento di apertura che ha reso questa donna attrattiva anche agli occhi di chi del cibo ne ha fatto principalmente motivo di cultura. Come il professor Ettore Cau dell’Università di Pavia, che l’ha ispirata a dar vita ad un’associazione culturale di donne di Rivanazzano con l’intento di far conoscere ai propri bimbi la realtà agricola della zona, ridando vita alla Fiera d’aprile, nata come fiera del bestiame a metà 800 e poi interrotta a fine anni ’70. “Abbiamo girato mezza provincia alla ricerca di animali autoctoni – ricorda Piera - e ottenuto l’apertura dei cortili, proprio per aggiungere qualche tassello in più alla conoscenza collettiva”.
E ci sono anche giornalisti che, varcata la soglia del suo locale, l’hanno seguita con attenzione e coinvolta in iniziative, come Tino Giudice e Elio Chiodi che, dopo avere assaggiato un suo piatto le ha chiesto se fosse stata disponibile a riproporlo in un ristorante a Milano. Da quel momento è iniziata la sua collaborazione con l’enogastronomia lombarda (inviti al circolo della stampa, all’Hilton…).
“Mio marito Giovanni Selvatico, Ettore Cau, Tino Giudice ed Elio Chiodi sono i quattro uomini della mia vita - è solita ripetere Piera -. Il primo, che tra l’altro si è dedicato all’agricoltura, ha assecondato la mia propensione e gli altri mi hanno dato la possibilità di interpretare il mio lavoro in modo diverso, di svecchiarlo in un certo senso. Dalla mia avevo una buona conoscenza dei prodotti del mio territorio e ricette rispettose della loro natura”.
Conosciamo la ricchezza dell’Oltrepo Pavese, oltre al vino?
Bisogna ascoltarla Piera, mentre parla di zucca berrettina, chiamata così per il cappello che assomiglia al berretto di un prete; della razza bovina varzese - unica razza autoctona della Lombardia - giovane presidio Slow Food sito a 1000 mt di altitudine; del peperone di Voghera - con la sua polpa sottile - ricco di vitamina C e di clorofilla; della pomella genovese piccola, piatta, gialla e rossa così chiamata perché nel ‘700 i produttori erano soliti recarsi sul mercato ligure per la vendita; della pera ghiacciolo che si mangia associata alla castagna; della pesca Guidobono a pasta bianca, ormai coltivata solo dai vecchi perché troppo delicata per il mercato (si smacca facilmente). Tipicità locali poco conosciute, forse perché erroneamente all’Oltrepo Pavese si è soliti associare solo il vino.
Cosa significa farsi carico del proprio territorio
“L’Oltrepo Pavese potrebbe essere molto interessante – riflette Piera - ma nessuno l’ha adottato ancora. Ha dei beni - come lei li chiama - che siamo orgogliosi di fare conoscere anche attraverso il nostro lavoro. E se c’è l’opportunità di uscire noi andiamo e li portiamo con noi. Se si pensa che sono anche espressione di un territorio giudicato il meno inquinato della Lombardia!...”
L’approccio con Slow Food, avvenuto a suo tempo, ha rappresentato un altro passaggio molto significativo per il Selvatico, la collaborazione con la condotta locale è stata ed è fattiva, l’ingresso nell’Alleanza Slow Food dei cuochi ha fortificato gli intenti e aperto ulteriori strade per conoscere e farsi conoscere, non pensando solo al proprio però, ma sempre coinvolgendo ad oltranza. Nel 2012 è nata la comunità del cibo dell’Oltrepo Pavese, che riunisce agricoltori, allevatori, trasformatori e ristoratori, da anni impegnati singolarmente in un processo di valorizzazione del prodotto tipico locale.