Valerio Beltrami, presidente di A.M.I.R.A.
Innanzitutto come è strutturata oggi A.M.I.R.A., quanti soci, quante delegazioni?
“L’associazione è presente con le proprie delegazioni sull’intero territorio nazionale e con delegazioni a Principato di Monaco, Svizzera, Inghilterra, Isola di Jersey, Shanghai. Stiamo sviluppando una nostra presenza in Giappone e a Dubai e, in generale, siamo aperti ad accogliere ogni luogo in cui sia presente un chiaro concetto di ospitalità italiana. Contiamo attualmente su 2.500 iscritti, abbiamo una nostra rivista Ristorazione & Ospitalità e, ogni anno, organizziamo il concorso Maître dell’anno che, il 23 e 24 ottobre, verrà ospitato a Gallipoli”.
Quali sono i principali obiettivi del suo mandato?
“Modernizzare! Questo vale per l’associazione che presiedo, come per i mestieri di sala. Sono cambiati i tempi del servizio, sono cambiate le aspettative della clientela. Oggi non ci sono più le brigate, i famosi 15 ruoli descritti da Ritz, semplicemente perché non esiste più la clientela della belle époque nei grandi alberghi. Quindi non possiamo restare ancorati ad un mondo che esercitava sicuramente un grande fascino, ma che è rimasto solo nel ricordo. Quello che serve è una figura a 360°, che abbia nozioni di gastronomia, che sia in grado di gestire una struttura anche a ranghi ridotti; chi, oggi, ad esempio, si può permettere di mantenere in sala sia il maître sia il sommelier?”
Dunque state pensando a nuovi profili o a nuove terminologie? Anni fa avevate lanciato l’idea di cambiare il nome del cameriere in convivier, ma non mi sembra che abbia fatto grande strada?
“La mia opinione e che non sono i nomi che cambiano una figura professionale, bensì il contesto sociale in cui opera. Vede, quando io ho iniziato il cameriere era colui che si presentava in sala con giacca bianca, pantaloni e farfallino nero; una cosa di cui i ragazzi, già allora, si vergognavano. Oggi il cameriere con la C maiuscola è un ragazzo che sa accogliere, conosce tre o quattro lingue, è in grado di accompagnare con discrezione il cliente lungo tutto il percorso gastronomico prescelto. Quindi no alla pura terminologia, si ad una nuova qualifica”.
Ad esempio?
“Stiamo attuando un corso formativo per la figura di maître-sommelier. Il primo corso pilota è partito in Puglia e, in tre livelli, formerà una figura con competenze miste: di ospitalità e organizzazione della sala, unite a conoscenze enologiche e gastronomiche. Questo consente di coniugare più professionalità e ottimizzare la carenza di professionisti in questo specifico settore”.
Si parla molto di crisi delle professioni di sala; a cosa imputa questa difficoltà?
“Anche qui siamo in ambito sociale. Il cuoco cos’era fino a pochi anni fa? Una persona che non varcava mai la soglia della propria cucina. I media lo hanno assurto a icona nella scala sociale. Al contempo il cameriere è stato relegato a semplice porta piatti. Ricordiamoci però che il successo di una cena e di un ristorante si gioca nei primi 20 secondi dall’arrivo dell’ospite e lo si gioca in sala. Glielo dico per esperienza: il cliente è disposto ad ammettere l’errore della cucina, di un piatto con qualche difetto, ma non torna più se c’è una sala inadeguata, se un cameriere è scostante e scorbutico, se l’attesa dal conto in avanti è oltre misura e amenità del genere”.