Noi di sala&cucina siamo convinti della necessità di differenziare le modalità di approccio a un ristorante. Una convinzione che ha preso forza proprio durante i mesi scorsi, quelli della pandemia, del lockdown, quando la ristorazione subiva contraccolpi che avrebbero messo in ginocchio qualsiasi attività non ritenuta fondamentale. In quei mesi abbiamo assistito a molte proteste, a ristoratori che scendevano in piazza, a persone che non capivano questo genere di proteste, ad altri ristoratori che, in silenzio, tenevano duro, garantivano gli stipendi ai dipendenti, anticipavano i soldi della cassa integrazione, facevano progetti per il futuro, un futuro che avrebbe cambiato ogni cosa, anche il modo di frequentare, di scegliere, un ristorante. C’erano diversità evidenti: chi si lamentava dei pochi rimborsi e chi ne vedeva un aiuto impensato; la differenza la facevano le denunce dei redditi, prendeva poco o niente chi dichiarava poco o niente, cioè il falso.
C’erano differenze evidenti e il sentire comune non era di solidarietà verso la categoria. Un giorno un amico mi disse: “Da quei ristoratori di Genova che bloccano le strade, che impediscono ad altri di lavorare, io non andrò mai più”. Era un giudizio molto tagliente, soprattutto perché veniva da uno che aveva svolto quella professione per anni. Ma quella era l’opinione: di un comparto che non aveva motivo di lamentarsi visto tutto il nero che aveva fatto negli anni, visto che non pagava compensi adeguati a chi lavorava per loro e non rispettava i pagamenti dei fornitori.
Non sono tutti così, ci dicevamo, dobbiamo distinguere se vogliamo che la categoria venga apprezzata per i valori che reca in sé.