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Amodo, la rete dei ristoranti etici

02/05/2022

Dovremmo essere tutti di genio pronto, vivaci, cortesi nel tratto, candidi 
nelle maniere, amici delle virtù, nemici dei vizi, cercando di dare la salute ai nostri ospiti, dando buoni cibi secondo le stagioni.
Essere affabili  con tutti i nostri collaboratori, riflettendo che l’asprezza nel comandare 
partorisce odio e fabbrica ruina. Per la gloria della nostra condotta e il 
decoro del nostro Paese.

Antonio Latini, Scalco alla Moderna, 1692
Con questa definizione di un grande uomo di cucina vissuto nel XVII secolo, regalataci da Davide Rampello, non servirebbero altre presentazioni di questa rete di ristoranti etici, ma corre l’obbligo di spiegare i valori che stanno alla base di questo progetto lanciato dalla redazione di sala&cucina, magazine di accoglienza e ristorazione. 

Sono valori che vengono racchiusi nel decalogo che i ristoratori aderenti ad Amodo, la rete dei ristoranti etici sottoscrivono di proprio  pugno; un decalogo dove parole come rispetto, sostenibilità, produzioni locali, digitalizzazione, racconto, ne costituiscono l’essenza.

Il periodo che stiamo attraversando ha cambiato il mondo, anche se le regole del cambiamento non sono ancora state scritte, e anche la 
ristorazione deve adeguarsi a questa trasformazione. Gli ospiti di un ristorante non sceglieranno più un locale solo in base a quanto si mangia e si beve bene ma anche, e soprattutto, sui criteri che abbiamo racchiuso nel decalogo di modo. 

Non è un caso neppure il nome di questa rete, Amodo significa fare ogni cosa con onestà intellettuale e pratica.

Come nasce il progetto

Noi di sala&cucina siamo convinti della necessità di differenziare le modalità di approccio a un ristorante. Una convinzione che ha preso forza proprio durante i mesi scorsi, quelli della pandemia, del lockdown, quando la ristorazione subiva contraccolpi che avrebbero messo in ginocchio qualsiasi attività non ritenuta fondamentale. In quei mesi abbiamo assistito a molte proteste, a ristoratori che scendevano in piazza, a persone che non capivano questo genere di proteste, ad altri ristoratori che, in silenzio, tenevano duro, garantivano gli stipendi ai dipendenti, anticipavano i soldi della cassa integrazione, facevano progetti per il futuro, un futuro che avrebbe cambiato ogni cosa, anche il modo di frequentare, di scegliere, un ristorante. C’erano diversità evidenti: chi si lamentava dei pochi rimborsi e chi ne vedeva un aiuto impensato; la differenza la facevano le denunce dei redditi, prendeva poco o niente chi dichiarava poco o niente, cioè il falso.

C’erano differenze evidenti e il sentire comune non era di solidarietà verso la categoria. Un giorno un amico mi disse: “Da quei ristoratori di Genova che bloccano le strade, che impediscono ad altri di lavorare, io non andrò mai più”. Era un giudizio molto tagliente, soprattutto perché veniva da uno che aveva svolto quella professione per anni. Ma quella era l’opinione: di un comparto che non aveva motivo di lamentarsi visto tutto il nero che aveva fatto negli anni, visto che non pagava compensi adeguati a chi lavorava per loro e non rispettava i pagamenti dei fornitori.
Non sono tutti così, ci dicevamo, dobbiamo distinguere se vogliamo che la categoria venga apprezzata per i valori che reca in sé.

 
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