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Langhe, tradizione vitivinicola e valore del territorio

16/09/2022

Langhe, tradizione vitivinicola e valore del territorio

Un territorio affascinante, costellato di borghi medievali e colline verdi; un panorama che, visto dall’alto, si estende lento a vista d’occhio e dove i vigneti e i boschi di nocciole riempiono lo sguardo. Un luogo denso di storia, proiettato al futuro grazie alla lungimiranza delle sue genti.

Il vino è protagonista; una bottiglia - Albeisa – ne rappresenta il patrimonio, identifica una visione e ne promuove gli scopi. La cucina è fortemente ancorata alle tradizioni e conserva gelosamente le sue perle, una tra tutte il tartufo.

Le Langhe, quella zona del basso Piemonte che si estende tra le provincie di Cuneo e Asti e che insieme al Roero declina verso la Liguria, è nota in tutto il mondo per i suoi vini importanti, accoglie i visitatori con discrezione, apre le sue porte con generosità ed espone i suoi tesori con orgoglio.

Langhe, tradizione vitivinicola e valore del territorio

Il Piemonte, distretto economico del vino per eccellenza, conserva nel territorio la sua ricchezza. È una ricchezza che non trova la sua espressione nei numeri ma nella qualità. Non è un dettaglio.

I vini piemontesi coprono il 17% dell’export nazionale, 1/3 extra Europa. Il 10% delle denominazioni italiane sono vini piemontesi, il 20% se parliamo di vini rossi.

Ma torniamo alle Langhe, territorio narrato da grandi scrittori come Beppe Fenoglio e Cesare Pavese, solo per citarne alcuni. Territorio che ha visto nascere la storia d’Italia, basti pensare alla casa Savoia e a Camillo Benso conte di Cavour che qui dimorò e svolse la sua opera di statista e innovatore.

Langhe, tradizione vitivinicola e valore del territorio

La langa narrata da Fenoglio, povera e arretrata, non esiste più. Oggi è un territorio ricco e produttivo, che ha saputo creare un substrato dinamico dalla sua storia e dai doni che il suolo offre. Un terreno di origine sedimentaria, da cui emerge il ricordo di fondali marini che lo caratterizzano e lo arricchiscono di sostanze preziose. Se aggiungiamo i movimenti delle zolle e delle placche che nei millenni si sono susseguiti, il corso dei fiumi e il movimento del fondo che grazie all’azione di sollevamento hanno creato matrici geologiche uniche, abbiamo ciò che caratterizza l’espressione dei vini, la loro complessità.

I vignaioli delle Langhe hanno saputo interpretare queste particolarità e valorizzarle, hanno saputo trarre dal clima, contrassegnato da precipitazioni concentrate, ogni dettaglio, e hanno realizzato una produzione di vini di straordinaria potenza: Barbera, Barolo, Barbaresco, Roero, Dolcetto, Nebbiolo, Pelaverga, nomi che risvegliano ricordi e sensazioni.

E se, pensando alla Barbera – rigorosamente al femminile – il pensiero va a immagini popolari, a un’osteria, piatti casalinghi e semplici, il nome Barolo richiama all’aristocrazia del vino.

Dove il Dolcetto viene, nell’immaginario comune, associato a un vinello da poco, erroneamente “dolce”, ecco che portare in tavola un Barbaresco attribuisce subito prestigio al desco.

Ebbene, oggi, questi preconcetti sono superati. Il lavoro intenso che i vignaioli piemontesi hanno svolto suggeriscono una qualità produttiva egregia e riscattano vini popolari come Barbera e Dolcetto da una fama ingrata.

La chiave di lettura è quello che si definisce “terroir”, termine abusato ma che rappresenta i concetti di unicità del territorio: il clima, il vitigno, la matrice geologica e quella umana. Valori imprescindibili che i vignaioli delle Langhe hanno saputo gestire e valorizzare.

Una delle chiavi di lettura la ritroviamo anche nella volontà di unirsi in una visione comune e partecipata dalla spiccata connotazione identitaria. È il caso del Consorzio Albeisa, 300 produttori circa, un unico intento: dare voce e interpretazione alle Langhe e ai suoi tesori.

La storia di Albeisa è legata a quella di una bottiglia, inconfondibile, chiamata così perché tipica di Alba. Essa è bottiglia, strumento e mezzo di comunicazione del territorio; esprime la visione congiunta dei produttori albesi. La bottiglia, la B.O.C.G.  (Bottiglia di Origine Controllata e Garantita), risale al Settecento quando i produttori piemontesi chiesero ai mastri vetrai delle Antiche Vetrerie di Poirino (appena fuori Torino) di progettare una bottiglia riconoscibile a adatta a grandi vini. Nel 1973, grazie all’intuizione visionaria per quei tempi dell’enologo Renato Ratti, venne riutilizzata da 16 produttori, riadattandola alle esigenze moderne e scrivendo in rilievo il suo nome per quattro volte all’altezza della spalla, per renderla facilmente riconoscibile.

Nacque così la bottiglia un po’ borgognotta e un po’ bordolese, simile per diametro e altezza alle francesi, ma diversa.

Langhe, tradizione vitivinicola e valore del territorio

Albeisa è un Consorzio nato per promuovere i grandi dell’Albese nel mondo ed è ancora oggi l'organismo che gestisce l'utilizzo della bottiglia con l’impegno costante a diffonderne l'uso, nel rispetto di precise regole. Rappresenta circa 301 soci con 20 milioni di bottiglie utilizzate nel 2020.

Racconta Marina Marcarino, Presidente del Consorzio Albeisa: “La cultura piemontese delle langhe è storicamente nota per essere sempre stata precorritrice di grandi cambiamenti, anche e soprattutto nel mondo vitivinicolo: basti pensare che proprio qui vedono la luce i primi consorzi di tutela e qui vengono redatti i primi disciplinari che hanno dato regole e norme a questo settore. Non stupisce quindi che questo territorio abbia dato alla luce questo splendido progetto che oggi come allora ci chiede di superare l’individualismo delle denominazioni per far prevalere la condivisone e i valori comuni che, come produttori, ci legano. Qualità, ricerca, passione, rispetto della nostra storia e del nostro territorio con apertura verso il futuro sono i principi della nostra filosofia e l'espressione dei nostri vini che in questa bottiglia trovano massima sintesi ed espressione”.

Marina MarcarinoMarina Marcarino

Dal 2007 Albeisa viene prodotta anche in versione “light” con un peso specifico pari a circa il 30% in meno rispetto al modello tradizionale. Una svolta che si è tradotta in una minor quantità di energia e di materie prime utilizzate, in un notevole calo di emissioni di CO2 ed in una netta riduzione dei rifiuti stimato oltre 8 milioni di kilogrammi di vetro dalla sua entrata in commercio.

 

La storia delle Langhe, si è detto, è strettamente legata al vino. Salvaguardare le specificità genetiche delle vigne e dei vitigni è lo scopo di un progetto che, proprio qui, ai piedi del Castello di Grinzane Cavour ha preso vita grazie all’impegno dei ricercatori del CNR in collaborazione con la Vignaioli Piemontesi e con l’Azienda agraria di Grinzane dell’Istituto Umberto I di Alba.
Ai piedi del castello, nei terreni che furono parte della proprietà dei Benso di Cavour, il vigneto raccoglie oggi più di 500 varietà di vite, in gran parte vitigni minori e rari, spesso in via di abbandono se non ormai scomparsi dai vigneti commerciali. È un museo a cielo aperto delle risorse genetiche attuali e di un tempo. Vi sono, infatti, ospitate tutte le varietà di vite dell’Italia nord-occidentale, oltre a cultivar nazionali e internazionali di riferimento. La collezione, con le sue 800 accessioni coltivate su di 1,4 ha di superficie, mantiene vivo ed attivo un patrimonio di inestimabile valore biologico, storico e scientifico.


La collezione di Grinzane è una delle più importanti d’Europa: di ogni accessione si coltivano 5 piante, tutte innestate sullo stesso portinnesto ed allevate a controspalliera; oltre a servire alla conservazione di risorse genetiche spesso uniche, ormai introvabili altrove, la collezione ha una spiccata funzione didattica, per imparare a riconoscere per comparazione i diversi vitigni.

Tajarin al tartufoTajarin al tartufo

Sui terreni, troneggia il Castello dove è possibile osservare i cimeli della famiglia Benso e visitare un interessantissimo Museo delle Langhe con percorsi etnografici ed enologici di grande valenza storica. Qui si svolge ogni anno l’Asta Mondiale del Tartufo d’Alba quando gli esemplari più prestigiosi del Tuber magnatum Pico, vengono battuti all’asta per scopi benefici.

E dopo la visita, tutti a tavola per gustare i piatti tradizionali che rispecchiano il territorio e la sua cucina sincera; le carni tenere e delicate dei bovini di razza Piemontese: non si può passare per questi luoghi senza assaggiare tartare e carpacci impreziositi dalle salse tipiche – i bagnèt – frutto della contaminazione culturale francese, o il vitel tonné. Le paste fresche, tajarìn e tortelli del plin, rigorosamente fatte a mano. La giardiniera, antipasto immancabile, composta di ortaggi dell’orto in conserva, caratterizzata dalla presenza del pomodoro, delicata e discreta.

Come gli abitanti delle Langhe, gentili e riservati, concreti e generosi.

a cura di

Marina Caccialanza

Milanese, un passato come traduttrice, un presente come giornalista esperta di food&beverage e autrice di libri di gastronomia.
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